Le migrazioni, il gas, l’Europa e… Angela Merkel (di Cosimo Risi)

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All’inizio della fine del mandato  è sempre la Cancelliera a dettare la linea all’Unione europea, mai così incerta nei comportamenti da parte dei vertici istituzionali.

Che gli stati membri discutano (eufemismo per litigare) sulla politica migratoria è un copione in scena dal 2015, dall’ondata di profughi dalla Siria e dagli sbarchi massivi nel Canale di Sicilia.

Che siano incappati nella trappola bielorussa è affare di questi giorni.

Ursula von der Leyen attende la luce verde da Berlino per assegnare 700 mila euro all’assistenza ai migranti assiepati sul confine fra Bielorussia e Polonia (e Lituania). La decisione segue ai colloqui diretti che Angela Merkel ha con l’interlocutore di sempre, “il cordiale avversario” Vladimir Putin, e con Alexander Lukashenko. Bruxelles  li derubrica a “incontri tecnici”: la Cancelliera non ha il mandato a trattare per i Ventisette. Varsavia e Vilnius ribadiscono che le sanzioni vanno mantenute.

Il despota bielorusso, così i media europei affettuosamente lo definiscono, è colpevole agli occhi dell’Occidente di conculcare i diritti umani nel paese e, ora, di adoperare i migranti e il gas per riabilitarsi. Nel modo più banale: vuole che siano alleggerite le sanzioni a carico di alcuni collaboratori e, insieme, gli sia riconosciuto lo status di interlocutore internazionale.

Non è il solo despota in giro per il mondo, gode però dello scomodo primato di essere il bersaglio favorito degli strali dei benpensanti. Con la Bielorussia si rievoca il ricordo della peggiore Unione Sovietica. Lukashenko è un sopravvissuto di quell’epoca, neppure Mikhail Gorbacev, nella sua breve traiettoria, riuscì a scalzarlo.

Angela Merkel interloquisce direttamente con i Presidenti di Russia e Bielorussia, i due paesi periodicamente minacciano di federarsi nella tardiva replica dell’URSS, e ottiene un paio di risultati niente male per il resto d’Europa, oltre che naturalmente per Berlino. La Germania è infatti la meta agognata dei migranti sulla frontiera.

Lukashenko s’impegna a rimpatriare 5000 dei 7000 migranti. I restanti 2000 sarebbero accolti in Germania, e si può immaginare la riffa per stabilire chi siano i fortunati vincitori. S’impegna inoltre a cessare con le minacce alla permeabilità del confine con l’Unione. In tal modo Varsavia potrà cessare di fare la faccia feroce, con idranti e lacrimogeni, contro coloro che si azzardino a spezzare la barriera.

Resta il rebus del gas. Eppure Putin, per conto di Gazprom, assicura che non è un’arma di deterrenza verso l’Europa. Il tema delle forniture è troppo complesso per essere agitato in chiave propagandistica. Gli introiti dalle vendite sono essenziali ad un’economia russa che è lungi dall’essere viabile.

Il gas però schizza a 100 euro per megawatt/ora, il rincaro si ripercuote sulla bolletta del consumatore finale. Si dirà che la domanda post-chiusure è cresciuta a dismisura nel mondo e che il gas soffre di penuria al pari di altri beni (si pensi ai chips). Si dirà anche che qualcosa nelle forniture da Oriente a Occidente non funziona.

La Germania ha temporaneamente sospeso l’attivazione di North Stream 2, il gasdotto che la collega direttamente alla Russia. Di questa pipeline si è già occupata la diplomazia da quando gli Stati Uniti con Trump chiesero di bloccarla. Solo da poco  Biden ha dato il  via libera, se non altro per non urtare  la Germania che  voleva il gasdotto a tutti i costi.

La partita doppia migranti – gas si chiude, se non con la vittoria d’Europa, quanto meno con il pareggio. Scopriamo che all’Est alcuni soggetti, che ci piacciano o non ci piacciano, sono insediati nei loro paesi con il consenso spontaneo o forzoso della popolazione, ma di fatto li governano.

Scopriamo che l’esitazione delle istituzioni europee è superata dalla determinazione di una singola dirigente. Angela Merkel continua a lavorare per l’interesse nazionale e, in via indiretta, per l’interesse comune. E’ un punto a favore del metodo intergovernativo. Non rappresenta un buon precedente per il processo d’integrazione del vecchio metodo comunitario.

Cosimo Risi

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