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I Palmenti di Pietragalla (di Vincenzo Capuano)

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Ad accoglierci nel ristorante è Vito. Ci fa accomodare a uno dei pochi tavoli, scelgo la sedia che, spalle al muro, mi permette di osservare tutto l’ambiente e la porta d’ingresso. Difronte siede il mio amico Mimmo. Il locale “VialeQuarantaNove di Romaniello” è piccolino, fa da bar e da ristorante.  La Signora Caterina, sorella di Vito, ci espone il menu.

Scegliamo minestra maritata e migliatieddi per secondo. Ovviamente Vino rosso locale.

I migliatieddi sono tipici di quest’area della Lucania: involtini composti dalle frattaglie di agnello cucinato e condito secondo ricette tradizionali. Il vino, prodotto qui, è un incontro di vitigni eterogenei, in particolare Calatamuro, Malvasia ed ovviamente Aglianico, è ottimo.

Proprio il vino sarà il filo conduttore per la visita di questo antico paese lucano: Pietragalla.

Da sempre il vino per il contadino ha rivestito una posizione di centralità culturale, economica ed alimentare. Le sue origini risalgono alla Preistoria; sono così antiche da confondersi con la stessa storia dell’umanità.

La presenza della Vitis vinifera risale ad oltre 9.000 anni fa. Da allora è stato motivo di conversazione, confronto, tradizione, famiglia e un bicchiere in più toglie i pensieri.

Fino a non molti anni fa chiunque avesse anche un solo pezzetto di terra, preparava il vino per la propria famiglia e se poteva ne vendeva qualche litro per coprire le spese.

Oggi Pietragalla è all’attenzione turistica per Il “Parco Urbano dei Palmenti”. Una collina in cui sono ubicate, una affianco all’altro, una sovrapposta all’altra, semi nascoste nel terreno, piccole costruzioni, che assomigliano a chiesette.

Nei palmenti, fino alla fine degli anni sessanta, avveniva la pigiatura e la fermentazione dei mosti. Ogni palmento è costituito da una porta d’accesso e da un piccolo ambiente interno che contiene due o quattro vasche differenziate (due per il vino rosso e due per il vino bianco).

L’uva, raccolta nei vigneti circostanti, veniva versata nella prima vasca, larga e bassa, e pigiata a piedi nudi. Il mosto, attraverso un foro, cadeva nella vasca sottostante, dove fermentava.

Una feritoia, al di sopra del varco di accesso, consentiva la fuoriuscita dell’anidride carbonica. Dopo circa venti giorni di fermentazione, il vino veniva trasportato in luoghi più freschi, ideali per l’affinamento: le caratteristiche cantine-grotta dette “Rutt” e messo in botti.

Dopo pranzo, Vito ci accompagna a visitarle. Sono sparse per tutto il paese, alcune ancora in buone condizioni, altre abbandonate. In esse sembra di ascoltare il rumore del mondo antico, del mondo contadino, che entrato dalla porta, unica via d’accesso, si è propagato in ogni angolo ed è rimasto lì, intrappolato tra quelle pareti, da secoli.

Immagino i tempi in cui quel luogo respirava profondamente; mi sembra di percepire gli uomini al lavoro, i gesti, i pensieri, i momenti delle storie che quelle pareti conservavano, provo a intercettare i loro segreti. Ci addentriamo, poi, nel nucleo centrale del paesino ad ammirare il Palazzo Ducale e a passeggiare per gli stretti vicoli di pietra, tra ponti, archi, scalinate e finestre a sesto acuto.

In uno di essi, su ogni gradino di una breve scalinata, c’è trascritto un rigo di una stringata poesia: Che ritorni l’incanto / Dei brevi anni / Avrò la fionda a sera / Sotto il cuscino, / il cuore che canta / nella notte chiara. Sullo scalino più basso è riportato il nome dell’autore: M. Leone Barbella. Scatto una foto per memorizzare poesia e nome dell’autore e andiamo via.

Lungo la via lentamente mi allontano con la mente. Penso a quanto sia controversa la letteratura medica nel considerare il rapporto tra consumo di alcol e salute. Diversi studi hanno dimostrato che, assunto in quantità moderate, riduce gli eventi cardio-cerebrovascolari.

In dosi generose, viceversa, è causa di varie patologie, tanto che la “World Heart Federation” sostiene la necessità di un’azione urgente per affrontare l’aumento, senza precedenti, di morte e invalidità nel mondo correlato all’alcol. Nel 2019, oltre 2,4 milioni di persone sono morte a causa dell’alcol.

L’argomento è ovviamente complesso e dovrebbe tenere conto oltre che della quantità di alcol assunta, dell’età dei bevitori e del contesto culturale. In particolare il vino non può essere etichettato come alcol e basta, è molto di più.

Ritorno a pensare al vino come parte integrante del mondo che mi circonda e, mentre l’auto corre per vie tortuose, eccomi di nuovo ad osservare il paesaggio fatto di squarci di rara bellezza, ma che si confonde, di tanto in tanto, con le numerose pale eoliche disseminate sul territorio.  Mimmo continua a guidare, tra poco giungeremo a Cancellara ad ammirare il Castello Federiciano.

Mi ritornano alla mente alcuni versi di Rocco Scotellaro: “Mettete il vino, beviamo stasera / è fuggito il broncio dalla faccia. / Erano le foglie ritte alle robinie / lungo le siepi i rovi erano bianchi. / Le viti si aggrovigliano a levante / dove le chiama il primo vento. / Era tempo. La pioggia che si smaglia / Mette le ciglia ai chicchi nella paglia, / c’è sempre un seme che germoglia da solo: / Mettete il vino, beviamo stasera.”

Al rientro a casa digito su internet “M. Leone Barbella” e scopro: Michele Leone Barbella poeta, nato a Pietragalla nel 1950 e deceduto a Salerno, suicida, nel 2010. Leggo alcune sue poesie, mi piacciono… è l’inizio di un nuovo viaggio.

di Enzo Capuano

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