Una cronologia dei fatti per comprendere la crisi (di Cosimo Risi)

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L’offensiva russa in Ucraina non si svolge con la rapidità prevista, saltano alcuni dirigenti dei servizi segreti esterni, avrebbero male informato il Cremlino sulla capacità di resistere dell’avversario. Il conflitto continua, Zelenskyj ripropone di affidare la mediazione  a Israele. Dopo il Primo Ministro Bennett è il Ministro degli Esteri Lapid a fare la spola fra le capitali limitrofe.

Per comprendere le posizioni in campo, sebbene non vi sia alcun legittimo fondamento  nell’attentare all’indipendenza di un altro paese, bisogna risalire nel tempo.

Nl 1991 crolla l’Unione Sovietica e le Repubbliche già sovietiche acquisiscono l’indipendenza, appena temperata dal patto istitutivo della Comunità Stati Indipendenti. Nel periodo 1998-2020 la NATO accoglie 14 nuovi membri, tutti paesi dell’Est, ed attornia la Russia da Capo Nord all’Anatolia.

Nel 1999 la NATO attacca per via aerea la Serbia per porre fine al conflitto nel Kosovo. La Serbia era tradizionalmente protetta dalla Russia.          Nel 2001 la NATO interviene in Afghanistan per colpire il santuario di Al-Qaeda, l’organizzazione terroristica autrice degli attentati dell’11 settembre. Resta nel paese fino alla precipitosa ritirata dell’agosto 2021.

Nel 2008 una battaglia di confine oppone la Russia alla Georgia, quest’ultima è responsabile per Mosca di riprendersi l’Ossezia del sud. Nel 2009 è dislocato un sistema anti-missile in Polonia con il dichiarato intento di proteggerla da (improbabili) attacchi dall’Iran.

Nel 2011 la Russia non si oppone alla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza NU, che autorizza l’intervento militare in Libia a protezione dei civili. La protezione giunge fino all’inseguimento di Qaddafi ed alla sua eliminazione.

Nel 2014 il movimento Euro-Majdan esautora da Kiev il Presidente filorusso Janucovich, che trova riparo nell’amica Mosca. Il nuovo Governo, considerato illegittimo dalla Russia,  conclude un accordo di associazione con l’Unione europea.

Nello stesso anno la Russia annette la Crimea sulla base di un referendum che, a larga maggioranza, vuole il ritorno della regione alla Russia. Nel 1954 la Crimea, già russa, fu ceduta dall’ucraino Kruscev all’Ucraina.

Nel 2015 si siglano a Minsk i Protocolli per consentire ampia autonomia alle regioni russofone del Donbass. Mosca imputa a Kiev la loro mancata applicazione, da cui l’accusa di “genocidio” nei confronti di quelle popolazioni.

Sulla base di queste doglianze, Mosca pianifica e applica il piano d’invasione dell’Ucraina prima che sia troppo tardi: prima cioè che l’avvicinamento della stessa a UE e NATO divenga un fatto compiuto. Le ragioni di Mosca precipitano nel vortice bellico, perdono significato a favore del ripudio internazionale dell’uso della guerra per dirimere le controversie.

A monte sono due sentimenti profondi. Il primo è della rivalsa per il collasso  dell’URSS e della perdita di influenza della Russia sulla zona circostante. E’ la sindrome da accerchiamento. Lo stesso Putin avrebbe esclamato in tempi non sospetti che, con la NATO alle porte, “non abbiamo più spazio per arretrare”.

L’altro sentimento è dell’appartenenza allo stesso ceppo. Kiev è “la culla medievale del popolo dei Rus’; da lì si diffuse verso nord grazie alla conversione del principe di Kiev, San Vladimiro… Un quarto degli oltre 40 milioni di Ucraini si riconosce come russo, ma tutti venerano a Kiev i santi sepolti nel Monastero delle Grotte… A ragione Dostoevskij definiva l’ucraino Gogol il padre della letteratura russa” (Giuseppe Cassini, il manifesto, 9 marzo 2022).

Nessuna ragione giustifica il conflitto. Ogni giorno di battaglia in più comporta  vittime e distruzioni in più. Sulle macerie è difficile costruire la nuova architettura di sicurezza europea.

di Cosimo Risi

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