Una città in cui si dà il tu al mare (di Enzo Capuano)

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Sono nato e vivo in una città in cui si dà il tu al mare. Mentre gironzolo tra i suoi vicoli o lungo la spiaggia ho spesso il sole come compagno.

Salerno.

Oggi cammino a passo svelto sul lungomare. Cerco di adempiere all’imperativo di percorrere almeno 10.000 passi. Ho tirato su le cuffiette e ascoltando musica jazz. Da Piazza della Concordia mi dirigo verso Mercatello.

Il tepore del sole, il profumo del sale e la musica mi trascinano in antichi ricordi. Mentre osservo i luoghi che attraverso riappaiono alla mente le estati di tanti anni fa. Le rivedo sfocate. Mi riconosco prima bambino e poi adolescente: i primi amori, gli amici, poi il motorino. Non un Ciao o un Boxer, ma un Euromoped verde pisello.

Continuo a camminare. Mi rendo conto della distanza percorsa dagli edifici che incontro: Grand Hotel, Lido La Conchiglia… poi, sulla destra, la “Piscina Simone Vitale”.

Ogni volta che passo di qui non posso non ricordare… Ero al lavoro, in ospedale, quella mattina quando si sparse la notizia… Simone Vitale, Peppe Diodato, Ciro Alfieri, Enzo Lioi … avevano tragicamente perso la vita nell’incendio del convoglio che rientrava a Salerno dopo l’ultima partita in serie A della Salernitana in quel lontano 1999; l’ultimo viaggio per quei giovani… ancora oggi non esistono parole per spiegare, per consolare.

Supero uno dopo l’altro il bar Marconi sulla sinistra, il Lido Arcobaleno e lo Scoglio 24 sulla destra. Giunto tra Pastena e Mercatello i ricordi si aprono sulle mie estati degli anni 60. In fila gli stabilimenti balneari Colombo, Lido e Miramare… sono i lidi che facevano da sfondo alle estati di allora.

Con i genitori e i miei fratelli facevamo i bagni al Miramare. In quello stabilimento in cui, durante la seconda guerra mondiale, si erano stanziate le truppe inglesi ed americane. Ricordo gli amici di allora, le interminabili partite con le biglie nelle piste tracciate sulla sabbia. I tuffi dalla battigia e le lunghe immersioni ad esplorare i fondali ricchi di stelle marine.

E lungo la riva, tra la sabbia, a cercare i vetri colorati, plasmati dal mare e dagli anni: bianchi, vedi, arancioni, e quelli più rari: azzurri e rossi. Riempivamo i secchielli. Il recente ampliamento della spiaggia rende oggi quegli stabilimenti ancor più invitanti.

Mi fermo al bar che dà sul mare, prendo un aperitivo, tolgo le cuffiette. Ascolto, in silenzio, le onde. Pace.

Ritorno al presente. Camminare a passo svelto… almeno 10.000 passi al giorno…

Si! Praticare attività fisica aerobica (passeggiare, jogging, bicicletta, nuoto) in modo regolare riduce la probabilità di eventi cardio-cerebrovascolari in modo concreto. Effettuare 10.000 passi al giorno è sicuramente un consiglio pratico e semplice per invogliare all’attività fisica, per promuovere la salute.

È il mio mestiere. Continuo per un po’ ad ascoltare il mare, poi vado alla cassa, pago, e riprendo a camminare. Tiro di nuovo su le cuffie e rimetto la musica. Scelgo Rocco Hunt.

            Non ci vediamo da un pezzo mo, oh-oh / E, devo ammetterlo, mi manca un po’ / Tornare dove tutto cominciò / Certi amori ritornano / Come le onde del mare / E noi che non siamo stanchi di fantasticare

La musica mi riporta nuovamente alle estati di un tempo. Nella memoria ritrovo i nomi degli altri lidi di Salerno, quelli a nord della Città, quelli frequentati dagli abitanti dei quartieri del centro.

Ritornano alla mente pian piano, uno alla volta, con i colori, i profumi e il vociare continuo di quelle estati lontane: Lido Azzurro, Marinelle, Savoia, con le sue cabine rosse, il Tritone, Elisa I, Elisa II, il Lido delle Sirene, lo Scoglio 24.

Si, erano proprio dove ora c’è il porto con le sue grandi navi, con i container, con le auto in fila pronte per essere trasportate lontano. C’era una spiaggia e un mare limpido.

Forte come il sole a luglio / Le nostre onde sulla sabbia baciata dal mare / Ritorno bambino per strada a giocare / Come tutte le volte

Oreste, Ruccio, Pasquale, gli amici di allora, con gli scooter ad inseguire giorni spensierati e idee impossibili. Al distributore a fare miscela. Con quell’odore inconfondibile nelle narici, protesi a capire il mondo e le sue strane regole, ma senza rinunciare ai sogni; contenti di essere parte di quel mondo, senza pensare che quel tempo non sarebbe ritornato mai più, ma con la certezza che lo avremmo ricordato per sempre.

Negli occhi c’è un mondo stupendo / Cosa te ne fai dell’America… In questi panorami molte volte mi perdo / Questo vento caldo mi riporta a Salerno / Noi due ragazzini andando al mare sul mezzo.

di Enzo Capuano

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  • Quando giungeva la luce di giugno, dimenticavamo di botto il mestiere di scolari, l’estate si spalancava infinita ai nostri occhi, il mare invadeva le nostre giornate fino a sera, dove poi ci accoglieva la Villa Comunale sulle sue panchine. Il mio mare giovanile era un mare scomparso, fagocitato dal porto, lasciando noi salernitani del centro storico orfani di un mondo irripetibile. Si raggiungeva a piedi, anche se c’era il filobus N.1 Porto-Fratte che giungeva fino al Lido, la strada risuonava dei nostri zoccoli di legno. Ci immergevamo nelle acque cristalline e calme come un grande lago, sotto la roccia sgorgava una sorgente freschissima a cui ci si dissetava. Il Pennello sotto La Baia lo proteggeva dalle onde e dal maestrale provenienti da Capo d’Orso. Lungo questo molo c’era il giardino delle cozze, ogni domenica mio padre fittava la scappavia e le compravamo appena tirate su dagli abissi. I nostri amori giovanili, qualche bacio salato, sono cominciati tra le palafitte degli stabilimenti balneari. Ho imparato a nuotare facendo qualche bracciata da riva fino a raggiungere la scoglio 24, a pochi metri dalla riva. La spiaggia cambiò volto dopo l’alluvione del 1954, che la ingrandì molto con i detriti franati dal monte S. Liberatore. Gli yacht delle nostre vacanze, fittati per qualche ora, erano le scappavie, con le quali, con vogate vigorose ci avventuravamo fino ai Due Fratelli per fare tuffi. Sui moli pescavamo boghe e salpe, cacciavamo i polpi tra i massi della scogliera. Allora i gelati erano fatti solo coi limoni nostrani, il cono grande costava cinquanta lire, collezionavamo i soldatini che uscivano dalle confezioni del nuovissimo sapone TIDE arrivato dall’America, se avevamo qualche lira andavamo al Diana a vedere i western di Sergio Leone, tra quelli non vietati. La nostra scuola elementare era la Gennaro Barra, a due passi dal mare, alle sue spalle sfociava il maleodorante scarico detto il chiavicone. Questo odore mi è rimasto impresso, tanto che oggi, sebbene fonti ufficiali dicono che non esistono più scarichi a mare, guardo sempre con timore le spiagge orientali, che son quelle che ci restano. Cammino assorto lungo la riva, il rumore ritmico della risacca culla i miei pensieri, improvvisamente emergono nella mia mente le parole di Josè Saramago:
    …..Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si era visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre.

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