E come pietra annerirò (di Enzo Capuano)

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Nello studio, seduto in poltrona con un libro sulle gambe, sorseggio della liquirizia. Oltre i vetri il mare calmo, sotto il cielo tacito.

Di tanto in tanto ci si può concedere un’eccezione ad una alimentazione equilibrata.

Ma, seduto in estremo relax, non ho voglia di equilibrio. Anche questo credo ci si può regalare, di tanto in tanto.

Il brano bizzarro di Baglioni che sto ascoltando mi spinge a essere folle, almeno nei pensieri.

Saranno stati scogli di carbone dolce / Dentro il ferro liquefatto / Di una luna che squagliò un suo quarto / Come un brivido mulatto / O un bianco volar via di cuori pescatori

Continuo ad ascoltare la canzone. Fatico a trovare un significato ed è per questo che mi piace… Parole senza senso, frasi senza logica, che hanno comunque la capacità di invitarti a pensare. Ti trasportano su sentieri inaspettati, ti invitano a lasciarti andare lieve nell’aria… in una dimensione insolita.

E io / Dal mare venni e amare mi stremò / Perché infiammare il mare non si può / Aveva forse nervi e fruste di uragani / Scure anime profonde / Tra le vertebre di vetro e schiuma

Le parole mi trascinano lontano e mi invogliano a cercare nuove sensazioni. Eccomi a inseguire una nuova maniera di vivere, che sia più lieve, più eterea.  Sono alla ricerca di quella leggerezza che non è sinonimo di superficialità o vaporosità, ma un modo di essere semplice, dove nulla è indispensabile e tutto è probabile.

Leggerezza come possibile strumento per interpretare la vita in forma più essenziale, ma non meno profonda. In lei cerco la capacità di non essere schiacciato da regole rigide e stereotipate.

Vivere leggeri, non per questo superficiali e insensibili, né fragili e vulnerabili, ma leggeri, sapendo dare il peso alle cose e agli eventi e, comunque, motivati a raggiungere la meta, con un pacato ritmo interiore.

Non pensando di essere incrollabili, ma ricchi di sfumature, di sensibilità, di emozioni e della possibilità di interpretare il mondo, di abitarlo e di viverlo, senza compromessi e senza obiettivi futili, essere e non avere.

 Acqua secca di un bel cielo astratto/ Chissà se c’erano satelliti o comete / In un’alba senza rughe/ Larghe nuvole di muffa e olio/ Appaiate come acciughe/ O una vertigine di spiccioli di pesci/ Nella luce nera di lattughe

Non si può, purtroppo, ancora essere leggeri (nel senso di prestare poca attenzione) nei confronti del Covid; è imperativo non abbassare la guardia. Chi non ha completato il ciclo vaccinale lo faccia. Un recente studio pubblicato su The Lancet, ha valutato i vaccini Pfizer e Moderna somministrati come quarta dose. I risultati hanno mostrato che la quarta dose fa aumentare sia le risposte umorali (in termini di anticorpi IgG) che cellulari. E’ un’opportunità per i più fragili.

Ritorno alla mia leggerezza che considero un valore, non un difetto. Mi ritornano in mente due straordinari scrittori. Vado con la mente ad una delle “Lezioni americane” di Italo Calvino in cui esamina proprio la leggerezza. Nell’articolo, a un certo punto, analizza “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera.

Scrive: “Il peso del vivere per Kundera sta in ogni forma di costrizione: la fitta rete di costrizioni pubbliche e private che finisce per avvolgere ogni esistenza con nodi sempre più stretti. Il suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile.”

Barche stelle insonni a ramazzare / Nelle stanze di Nettuno / O turbini di sabbia tra le dune calve / Sulle orme perse da qualcuno

Scuoto la testa, deciso a liberarmi di ogni peso e di ogni costrizione, almeno oggi. Insisto per rimanere leggero, cerco pensieri sempre più lievi. Chiudo gli occhi. Mi sollevo nel cielo e mi confondo tra eteree palle di cristallo, trasportato dal vento e dalle nuvole, lì dove nulla è impossibile, lì dove si può raggiungere un angolo senza tempo in cui regna una quiete senza fine.

E innanzi al mare ad ansimare sto / Perché domare il mare non si può / E come pietra annerirò / A consumare / A catramare / A tracimare / A fiumare / A schiumare / A chiamare / Quel mare che fu madre e che non so.

Enzo Capuano (capuanov@tiscali.it)

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  • Dare un senso alla nostra vita è arduo, salvo che non si sia credente, seguire quindi il destino scelto dal proprio Dio senza dubbi. Per il non credente invece, lo scopo per cui esistere deve crearselo da se, e vivere tentando di raggiungerlo, qualunque esso sia. Essendo spesso la strada ne chiara , ne agevole, facilmente si va incontro ad attimi di scoramento, di disorientamento. Le preoccupazioni si impossessano della mente, la imprigionano. Le giornate si riempiono di noia e grigiore, si ricorre a volte a sollievi artificiosi quali droghe e alcool, pur di spegnere l’inquietitudine e il vuoto dentro di se. Oppure si vive senza consapevolezza, seguendo semplicemente gli istinti, come animale, senza seguir “virtute e canoscenza” . La terza via è conquistare la gioia di vivere, dando il giusto peso ad ogni cosa, la regola dell’equilibrio. Se il nostro corpo, vincolato dalla legge di gravità, ci costringe a vivere coi piedi per terra, abbiamo tuttavia qualcosa di potente nella nostra mente in grado di eliminare qualsiasi barriera fisica, permettendoci di spaziare liberamente ovunque l’immaginazione possa condurci. E’ ciò che ci aiuta a vivere e a sopravvivere a prove e dolori che altrimenti ci annienterebbero. E’ ciò che arricchisce l’umanità con poeti, scrittori, artisti, inventori, visionari capaci di volare oltre le anguste barriere fisiche. Triste cosa per coloro che, troppo impegnati in attività quotidiane, sono incapaci di alzare lo sguardo verso il cielo, osservare un fiore nato su un muro, sentire il profumo del mare, il soffio del vento ad occhi chiusi, la voce del silenzio, il ritmo della risacca, della pioggia sui rami, il brillare nel buio del firmamento, il cinguettio dei passeri, il frusciare delle pagine di un libro, l’armonia di note in un motivo musicale, sentirsi una infima parte del tutto ma in sintonia con esso. Triste chi non sa cogliere la bellezza nascosta nelle parole, la ricchezza della nostra lingua, il giocare con esse accostandole, costruire frasi immaginifiche, frasi sonore, frasi senza senso ma musicali e rimate, miscelare gli opposti, creare immagini suggestive da esse, creare paradossi, usare le tantissime figure retoriche. Triste chi non sa prendere in giro la vita, i suoi rituali, le sue manie collettive, inseguire “influencer” anzichè aver proprie opinioni, aver perso la curiosità della conoscenza. Triste chi è ossessionato dal volersi distinguere senza averne le qualità, dalla bellezza che mai sfiorisce, dalla paura di invecchiare, dal protagonismo esasperato, dalla ricerca del consenso, dall’arricchire il conto in banca e non la sua vita.

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