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Alcune riflessioni sul Referendum del 12 giugno (di G. Fauceglia)

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Non intendo affatto intervenire nel merito dei quesiti referendari, che, tra l’altro, andrebbero esaminati nella loro specificità. Secondo alcuni, i quesiti apparirebbero una sorta di vendetta della politica contro la magistratura; secondo altri un necessario intervento per dar luogo ad una più complessiva riforma dell’ordinamento giudiziario. Va detto che, correttamente, la Corte Costituzionale ha ritenuto di non ammettere il quesito sulla responsabilità diretta dei magistrati, che avrebbe, indubbiamente, prodotto più danni che benefici.

L’utilità di alcuni quesiti, come quello relativo all’abrogazione della Legge Severino, hanno ricevuto il sostegno di personalità, come Luciano Violante, il quale, in una recente intervista pubblicata da “Il Dubbio” il 3 giugno 2022, ha dichiarato di votare “SI”, ritenendo che la politica non possa trasferire alla magistratura la responsabilità di decidere se un amministratore, in assenza di sentenza definitiva di condanna, debba o meno restare al suo posto.

Non intendo, in questa sede, neppure intervenire sull’assenza della funzione “ricostruttiva” del compendio normativo di riferimento, che sembrerebbe caratterizzare l’ordito dei quesiti referendari. Vi è però da constatare che, in questi anni, il Parlamento, in cui si raffrontano sensibilità notevolmente divergenti e contrastanti, non è riuscito a pervenire ad una riforma del sistema giudiziario in grado di superare quelle disfunzioni, ormai di tutta evidenza. Del resto, neppure la Magistratura è riuscita a concretizzare un processo di autoriforma in grado di farle riacquistare quella legittimazione che è venuta, con gli anni, a mancare.

Invero, bisogna riconoscere che l’assetto della Magistratura non può più essere quello della prima metà del secolo scorso, richiedendo modifiche, anche costituzionali, ben più profonde e sistematiche rispetto a quelle che potrebbero discendere dall’esito referendario.

Vi è però da registrare il silenzio assordante di quelle forze politiche, le quali hanno fondato la propria azione sulla c.d. democrazia diretta (con un vero e proprio vulnus alla democrazia rappresentativa su cui si fonda l’assetto costituzionale), ed ora, proprio in occasione del referendum, che resta di quella concezione della democrazia un solido esempio, tacciano e addirittura, in tal modo, indirettamente invitano a disertarlo.

Ciò, con un certo grado di “vigliaccheria politica”, senza neppure assumere il coraggio espositivo delle proprie convinzioni, quello assunto, ad esempio, da Bettino Craxi che invitò gli elettori “ad andare a mare”, in occasione del referendum sulla scala mobile.

A ciò si aggiunga il silenzio assordante dei mezzi di comunicazione che, profittando del conflitto in Ucraina, trascurano di dare informazione sui quesiti oggetto dell’appuntamento referendario. Orbene, a prescindere dalle differenti e sempre legittime opinioni ovvero di come si intenda votare, resta necessario considerare che l’esercizio del voto  non può essere dismesso o trascurato.

Non si può, in questo modo, devitalizzare l’istituto referendario rendendolo inutile o riservandolo ad una minoranza. L’invito, allora, è quello di recarsi a votare, prescindendo da come si vota, a difesa proprio di quei principi di democrazia diretta che l’istituto referendario, nella sua stessa conformazione costituzionale, intende valorizzare.

Giuseppe Fauceglia 

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