Il dibattito da noi si muove secondo la trita logica calcistica: Roma e Lazio, Milan e Inter, Napoli e Salernitana. Salvo rammaricarci che la Nazionale vincitrice dell’Europeo a Wembley crolla un anno dopo, nello stesso stadio, davanti all’Argentina.
La divisione fra le due scuole anima il dibattito europeo. Viene al pettine il nodo dell’unanimità in seno al Consiglio europeo. E’ impossibile scioglierlo se non modificando, all’unanimità, le clausole del Trattato. Un vicolo cieco procedurale in cui si infilano le delegazioni desiderose di ottenere qualcosa, costi quel costi.
Al Consiglio europeo i Ventisette sembravano avere trovato l’intesa sul pacchetto sanzioni numero 6. Giorni dopo, il Comitato dei Rappresentanti permanenti (COREPER: gli Ambasciatori presso l’UE) scopre che la delegazione ungherese non gioca più il gioco comune. E su un punto solo in apparenza simbolico: il bando del Patriarca Kirill dai viaggi verso l’Europa. Come se davvero il prelato avesse il bagaglio pronto per la vacanza sulle montagne austriache o al mare di Ibiza.
Kirill sostiene “l’operazione militare speciale” e la gabella della missione di liberare l’Ucraina da infedeli e omosessuali. Non basta denazificarla come da propaganda del Cremlino, bisogna anche riportarla all’ortodossia sessuale. A Mosca si dimentica la battuta di Woody Allen: “sei normale o vai con le donne?”.
La riserva ungherese riguarda le sanzioni sul petrolio. L’Ungheria si accontenta che sia colpito solo il petrolio che arriva via nave. Non avendo sbocchi al mare, riceve il petrolio via oleodotto e dunque il suo continua ad essere pompato.
Ed ancora: Kirill è escluso dal bando in omaggio al principio della libertà religiosa. La libertà religiosa, per gli Ungheresi, comprende evidentemente quella di viaggiare.
Budapest offusca così il legame fra la Chiesa ortodossa e l’autorità politica nella cosiddetta sinfonia fra i poteri. Il suonare lo stesso spartito in una pratica di scambio: la Chiesa offre l’usbergo delle religione al neo-nazionalismo russo, lo Stato riconosce alla Chiesa tutti i privilegi del passato e l’intangibilità della sua funzione civile.
La Russia non sta ferma sul piano diplomatico. Il suo Ministro degli Esteri ottiene da Riad che l’OPEC+, l’organizzazione dei grandi produttori estesa alla Russia, resista alle pressioni americane di escluderla. I precedenti di altri paesi sanzionati sono tutti nel senso auspicato da Lavrov. Le sanzioni non rilevano ai fini della partecipazione ai lavori. Il petrolio ha una dimensione meta-politica da rispettare.
In compenso Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iraq accolgono la richiesta americana di aumentare l’estrazione del greggio per calmierare i prezzi. L’annuncio cade a vuoto per ora, il prezzo del barile continua a salire, i mercati scontano la penuria che verrà dalle difficoltà della Russia a vendere fuori dagli sbocchi tradizionali.
Il discorso sul gas merita un approfondimento. Per l’Europa rinunciare di colpo al russo significa pagare di più le forniture e affrontare ostacoli tecnici di notevole portata. Anzitutto quella della liquefazione e della successiva rigassificazione. Esportatori e importatori sono attrezzati alla bisogna? L’economia europea ha pianificato la crescita sul gas russo a prezzo moderato e dosi abbondanti. Modificare l’assetto nel segno della differenziazione e dell’autarchia energetica richiede costi aggiuntivi e scadenze lunghe.
La via maestra è la pace per ritrovare, a medio termine, lo spirito della cooperazione Ovest-Est. Nell’interesse di fondo della stessa Russia: affinché si avveda che il suo ancoraggio strategico si trova in Europa e non in Asia.
di Cosimo Risi
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