Il nuovo, vecchio, assetto europeo (di Cosimo Risi)

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La guerra fa giustizia dei buoni sentimenti e della chiarezza. Da febbraio circola il racconto che la Russia perderà a fronte della resistenza ucraina. Si trascurano i rapporti di forza, i soli a contare sul campo di battaglia. Da quando la NATO ha deciso di non impegnarsi direttamente per non rischiare la deflagrazione generale, l’esito è parso segnato. I Russi stanno correggendo certi errori tattici per concentrare le forze nelle zone orientali: l’obiettivo prioritario della conclamata operazione militare speciale in quanto depositi delle terre rare.

La resistenza c’è stata e dura indomita: più a contenere i danni per giungere al negoziato in posizione di ridotto svantaggio che a ribaltare le sorti. Le forniture di armi  servono allo scopo. Fino a quando? La risposta non può che venire dalla parte aggredita, la sola idonea a fissare i termini della trattativa.

Attorno al conflitto  si agita il grande slam della speculazione. Scarseggiano le derrate alimentari e gli idrocarburi, gli altri grandi produttori non accrescono le esportazioni in proporzione alle perdite, sale l’inflazione da scarsità d’offerta. Prima la Federal Reserve americana e ora la BCE aumentano i tassi d’interesse per raffreddare i prezzi e così evocano lo spettro della stagflazione, stagnazione e inflazione.

L’Europa, già  seconda per esposizione al rischio bellico, è indotta ad un atteggiamento “ragionevole”. Non azzardi sortite strategiche che non le competono in prima battuta.

La politica europea oscilla fra la solidarietà umanitaria verso gli aggrediti, ed è una buona notizia l’accordo raggiunto dai Ministri dell’Interno UE circa la redistribuzione dei migranti, e la voglia di dire la sua  nel nuovo assetto mondiale.

Verso un nuovo assetto stiamo andando: non necessariamente il multipolarismo teorizzato da Cina e Russia con i lati del tridente, assieme agli Stati Uniti, a governare il mondo. Il nuovo multipolarismo dovrebbe vedere l’Europa non solo da soggetto passivo, ma da co-protagonista.

Ai primi di luglio la Svizzera convoca a Lugano la Conferenza dei donatori per ricostruire l’Ucraina. Fra i donatori attesi sarà invitata l’Unione europea per intervenire sia sul piano finanziario che politico.

Emmanuel Macron, la Francia ha ancora la presidenza di turno del Consiglio UE, avanza alcune proposte sul futuro. Dapprima mette in guardia, tramite il suo Ministro agli affari europei, circa i tempi dell’adesione dell’Ucraina: ci vorranno anni. E poi immagina un assetto continentale sul modello dei cerchi concentrici.

In sintesi: un cerchio stretto degli stati membri UE, un cerchio largo dei paesi terzi candidati o potenzialmente candidati all’adesione. Il cerchio largo prenderebbe il nome di comunità politica europea, l’aggettivo “politico” lascerebbe intendere che  fra i Ventisette e gli altri si condivide la politica e non le istituzioni.

L’idea non è nuova. Già nei Novanta del XX secolo, quando alle porte dell’Unione si affacciò l’Est europeo già di influenza sovietica, fu adottato un meccanismo per inquadrare gli stati membri ed i paesi terzi europei. Avrebbe dovuto servire ad avvicinare i potenziali candidati agli standard europei con la necessaria gradualità ai fini della piena integrazione. I paesi terzi interpretarono il meccanismo come un espediente per tenerli in prossimità della porta di Bruxelles  ma senza il diritto di varcarla.

La Francia propone la comunità politica europea all’Ucraina ed ai paesi già sovietici che sono nel mirino di Mosca:  Moldova e Georgia in primo luogo, nonché i Balcani Occidentali che però hanno già un loro percorso di avvicinamento.

Non è chiaro se l’idea francese sia gradita alla Commissione. La sua Presidente, per la seconda volta a Kiev in un mese, dichiara che l’Ucraina è ben posizionata per l’adesione. La  candidatura potrebbe essere accettata  al prossimo Consiglio europeo.

di Cosimo Risi

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