A caro prezzo (di Cosimo Risi)

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A sei mesi dallo scoppio della guerra in Ucraina continuano le dichiarazioni tonitruanti e scarseggiano le iniziative diplomatiche.

Fra un’escursione in montagna e una gita al mare, i notabili occidentali inseriscono la passeggiata sul corso di Kiev, non si ha notizia che la diplomazia peripatetica stia producendo risultati.

La sola efficace mediazione è affidata alla Turchia, cui l’ONU fa da spalla a mostrare che, nel nuovo gioco, contano gli stati e non le organizzazioni internazionali.

L’Unione europea misura i costi delle sanzioni, aveva inizialmente  sottovalutato che potessero avere effetti più severi sugli stati membri che sulla  Russia. In media paghiamo il gas il doppio se non il triplo di Cina e Stati Uniti,  la Russia ne vende meno verso l’Europa ma a prezzi più alti verso il resto del mondo. Perdiamo posizioni rispetto ai concorrenti terzi. Il New Green Deal è a rischio. Invece di avviare la transizione ecologica  riaccendiamo le centrali a carbone e riscopriamo il nucleare di nuova generazione e d’incerta sperimentazione. Insomma: a babbo morto.

E d’altronde –   dichiara a La Stampa l’ex amministratore delegato ENI – si doveva pur dare un segnale a Mosca della nostra protesta contro l’aggressione all’Ucraina.

I governi europei sono consapevoli che l’opinione pubblica può cambiare registro dalla  solidarietà agli Ucraini alla diversa valutazione dell’interesse nazionale. Le bollette energetiche esplodono, a risentirne sono i soggetti privati e le imprese. La crescita positiva post-COVID si logora nella spirale dei prezzi. L’inflazione è un fuoco che le Banche Centrali cercano di spegnere con il rialzo dei tassi. La Federal Reserve americana è per il rigore, la BCE finirà per seguire.

I governi puntano a  diversificare le fonti di approvvigionamento. Moltiplicano le missioni nei paesi MENA  (Middle East and North Africa). Le tappe più battute sono Algeria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar. La Libia è un caso a parte.

L’approccio cambia secondo che si tratti di gas o di petrolio. Il gas è il punto dolente. La Russia forniva oltre il 46% del gas europeo contro l’11% dell’Algeria. La Russia forniva invece soltanto il 24,7% del petrolio europeo. La dipendenza dal gas russo è di gran lunga maggiore in Germania e Italia che in altri stati membri. La Francia è meno esposta potendo contare sul nucleare, anche se la siccità ha prosciugato i fiumi e reso difficile raffreddare le centrali.

Algeria e Qatar sono i paesi terzi deputati ad accrescere le forniture di gas avendo ampio potenziale. Questo in attesa che entrino in funzione altri contratti (Mozambico) e che si metta in moto la macchina dei rigassificatori. Tutti li ritengono necessari: purché siano  collocati altrove. Il caso di Piombino è significativo.

La scoperta del giacimento al largo di Cipro è importante, non risolve il problema immediato, occorre tempo prima che entri a regime. Lo scenario dei razionamenti è contemplato. Il rischio sarebbe contenuto in Italia: avremmo stoccaggi sufficienti grazie ai piani governativi di acquisti a tariffe salate.

Altro discorso riguarda i prezzi e la fiscalità. E’ nota la posizione italiana per un tetto europeo al prezzo. La proposta non incontra molti consensi a Bruxelles. L’obiezione  è che il gas calmierato andrebbe verso i mercati che non applicano il tetto. La volontà di tassare più pesantemente gli extra profitti trova le riserve delle compagnie energetiche.

L’Europa è sempre più implicata negli affari MENA. La maggiore richiesta di gas comporta un maggiore flusso di scambi fra le aree. La proposta della Commissione (maggio 2022) di un partenariato strategico UE – Golfo è di attualità.

L’orizzonte politico si chiarisce da quando alcuni paesi del Golfo hanno deciso di normalizzare i rapporti con Israele. Israele è infatti il parametro su cui si misura l’atteggiamento europeo verso gli arabi.  Se poi gli Stati Uniti rivitalizzano con l’Iran il Piano d’Azione sul nucleare, lo scenario sul fronte MENA migliora decisamente.

di Cosimo Risi

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