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Il rave e l’ondivago procedere delle opposizioni (di Giuseppe Fauceglia)

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A fronte di frequenti incidenti e finanche di decessi dovuti all’uso di sostanze stupefacenti o a seguito di coma etilico, i rave – specie quelli che vedono la partecipazione di centinaia di giovani con occupazione illegittima di suoli pubblici e privati – risultano in altri Paesi contrastati da norme penali specifiche.

Ad esempio, nel Regno Unito, la materia è regolata dal Criminal Justice and Public Order Act (1994), che, prevedendo una peculiare fattispecie di illecito, ha dato nuovi poteri di intervento preventivo alle forze dell’ordine, come quello di fermare i veicoli entro il raggio di 8 Km e allontanarli, di sequestrare le attrezzature, finanche disponendo l’arresto a fronte del mancato allontanamento a seguito dell’intervento della polizia.

In Italia, il Decreto Legge 31 ottobre 2022, all’art. 5 ha dettato, aggiungendo all’art. 434 del codice penale, un nuovo art. 434 –bis, rubricato “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.

La norma punisce l’invasione di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta; ed aggiunge che “chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000”; prevedendo sempre  la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione.

Avverso questa norma si è immediatamente scatenato l’attacco delle opposizioni, che si sono spinte a ritenerla un vero e proprio attacco alla libertà di manifestazione e di riunione, come previsti dalla Costituzione. Invero, l’art. 17 della Costituzione, pur sancendo la libertà di riunione pacifica e senza armi, afferma che per le riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

Dunque, la riunione pacifica in luogo pubblico non è sicuramente affidata alla “libertà” degli organizzatori e dei partecipanti, ma resta subordinata sia al preavviso alle autorità sia al loro eventuale assenso allorquando non sussistano motivi di sicurezza o di pubblica incolumità.

Orbene, non può ritenersi che il rave sia una manifestazione preceduta da una qualche richiesta di preavviso alle autorità di polizia o amministrative: come è noto questi raduni sono organizzati “in clandestinità” ovvero con scambi su whatsapp o a seguito di telefonate, sono svolte in edifici abbandonati e dismessi (con pericolo per la stessa incolumità dei partecipanti) o in terreni pubblici e privati.

Il richiamo del sacrosanto principio costituzionale, evocato dalle opposizioni, resta palesemente inconferente, a meno di non ritenere legittime tutte le manifestazioni non autorizzate, anche se pericolose per l’incolumità degli stessi partecipanti, oltre che per la sicurezza pubblica. Del resto, non può ritenersi un esempio di esercizio democratico della libertà di riunione quanto è accaduto nei mesi scorsi nella provincia di Viterbo, in assenza colpevole di qualsiasi intervento dell’allora Ministro dell’Interno e dello stesso Prefetto.

Inoltre, la norma si giustifica per il ristretto limite punitivo e descrittivo della fattispecie di reato di cui all’art. 633 c.p., che punisce l’invasione arbitraria di terreni o edifici, la quale  presuppone il fine dell’occupazione (che nella giurisprudenza viene delineata in relazione ad un elemento “temporale”, non riferibile ai pochi giorni di un rave) o del trarne profitto (elemento neppure sussistente nel rave, laddove risulterebbe difficilmente provabile un qualche profitto economico degli organizzatori), ma soprattutto il reato è perseguibile esclusivamente a querela di falso.

Pertanto, a fronte di fenomeni finalizzati alla plurima violazione di precetti penali, si è imposta la necessità di individuare uno specifico “reato”, tale da comportare anche l’unico vero strumento di vera reazione, ovvero la confisca dei beni (in linea con gli orientamenti di altri Paesi europei).

Altro problema resta la incerta formulazione della norma, assai generica nella necessaria descrizione del reato, tale da poter dar luogo a possibili interpretazioni non coerenti con la sua ratio,  ma questi difetti potranno ben essere corretti in sede di conversione parlamentare del decreto legge, frutto della normale dialettica tra le diverse forze politiche. Da questo, però, ritenere che la norma rappresenti un attentato alla libertà di riunione, si frappone l’oceano dell’intelligenza e della razionalità valutativa (virtù che, mi pare, siano venute progressivamente a mancare tra le plurime opposizioni all’attuale Governo).

Giuseppe Fauceglia

 

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