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Israele, Governo Netanyahu 6, venti sudorientali (di Cosimo Risi)

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Dopo un anno di opposizione il Likud torna al potere e incrementa il primato di Benjamin Netanyahu al Governo. La sinistra si riduce ad una pattuglia di testimonianza, a confermare la tendenza dell’elettorato a spostarsi a destra in cerca di sicurezza.

Nell’incarico di Ministro per la Sicurezza Nazionale, con responsabilità sulla Polizia,  approda Itamar Ben-Gvir, il leader di Otzma Yehudit. Noto per i suoi interventi anti-arabi al limite del razzismo, il neo Ministro promette inflessibilità anche nei confronti dei cittadini arabo-israeliani che non sarebbero leali allo Stato.

La destra religiosa avanza ed ottiene significative concessioni, fra cui la marcata distinzione fra i generi e la condanna al mondo LGTB. Lo stesso Netanyahu è costretto a correggere il tiro e dichiararsi, da laico, il paladino delle diversità.

Sembra sfumare il sogno dello scrittore David Grossman: un paese laico, multiculturale, multietnico, democratico, libero dall’occupazione, un modello in una regione volta a autoritarismo e oscurantismo.

L’agenda internazionale del Governo continuerà a muoversi attorno ad alcuni assi: il caso Ucraina, il triangolo USA – Arabia Saudita – Iran.

A varie riprese il Presidente Zelenskyj ha chiesto l’aiuto dei correligionari di Israele, a varie riprese l’aiuto gli è stato negato. Il rifiuto è motivato dall’esigenza di tenersi neutrale nel conflitto fra Ucraina e Russia per non compromettere la benevolenza dell’Armata Russa di stanza in Siria verso gli attacchi israeliani alle postazioni iraniane in quel paese.

La fornitura di droni iraniani alla Russia altera l’equilibrio e spinge il Governo a valutare un diverso atteggiamento. Al fondo c’è il timore che la Russia paghi le forniture con l’assistenza al nucleare iraniano.

L’asse con gli Stati Uniti resta solido. Biden non è Trump, diversamente dal predecessore, non pare disposto a dare carta bianca a Netanyahu. Il suo Segretario di Stato insiste sulla formula due popoli – due stati. Mentre la destra israeliana dichiara permanente l’occupazione dei Territori palestinesi.

La partita con Washington si gioca sul fronte iraniano. L’ostilità di Israele al Piano d’Azione sul nucleare è di lunga data. Ora che le trattative sono bloccate da quanto accade in Iran, Israele prospetta la soluzione militare alla corsa di Teheran verso l’arsenale nucleare. Ci sono le prove che l’uranio venga arricchito oltre la soglia consentita dal Piano d’Azione.

Israele conta sull’appoggio dell’Arabia Saudita e delle potenze sunnite. L’approccio al dossier iraniano non è identico a Riad e Gerusalemme. Israele è per la totale chiusura, l’Arabia Saudita tenta un  avvicinamento.

Il 20 dicembre, le delegazioni di Arabia Saudita e Iran hanno partecipato alla Seconda Conferenza di Bagdad per la Cooperazione e il Partenariato, la nuova istanza multilaterale che riunisce le potenze musulmane, sunnite e sciite, l’ONU, l’UE, la Francia. Fra le due delegazioni non vi sarebbero stati contatti diretti, ma il fatto di sedere insieme ad un tavolo intitolato alla cooperazione è un segnale di non ostilità.

L’Arabia Saudita non aderisce agli Accordi di Abramo. La questione palestinese resta una precondizione di qualsiasi accordo di mutuo riconoscimento fra il Regno e lo Stato d’Israele. I due paesi hanno di fatto una cooperazione in vari settori, non intrattengono rapporti diplomatici formali. Ecco riemergere la questione palestinese che i precedenti Governi Netanyahu, con qualche successo, avevano derubricato ad affare interno.

Il quadrante mediterraneo, per dirla con i meteorologi, si scalda e non solo per il cambiamento climatico. All’Unione europea spetta volgere lo sguardo a sud-est, i suoi membri mediterranei sono esposti ai venti caldi.

di Cosimo Risi

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