A sud-est del conflitto (di Cosimo Risi)

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Gli occhi europei sono puntati sulla guerra ai nostri confini. Il nostro sguardo di paese mediterraneo dovrebbe volgersi anche altrove, a quel sud-est che sta vivendo un passaggio tumultuoso in coincidenza con quanto accade sul fronte ucraino.

Il Sud globale, la definizione è ripresa da Gilles Kepel, era ritenuto filo-occidentale in linea generale. In occasione dell’attuale crisi sta dando segni di cercare una via diversa. Non proprio in collisione con l’Occidente ma neanche di totale allineamento.

Quando gli Stati Uniti hanno chiesto all’Arabia Saudita di incrementare l’estrazione di petrolio per mettere in difficoltà la Russia, Riad ha rifiutato e tenuto alti i prezzi. Di più: ha consentito che l’OPEC, l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, accogliesse la Russia nel formato OPEC+.

Il patto “petrolio per protezione” fu concluso nel 1945 dal Presidente americano Roosevelt e dal Re saudita Abdul Aziz bin Saud. All’origine del patto è la compagnia ARAMCO (Arabian American Oil Company) che, una volta integralmente arabizzata, è la principale compagnia petrolifera al mondo.  Nel 2021 realizza ricavi per 400 miliardi di dollari. Nel 2022 supera Apple per capitalizzazione di mercato con 2430 miliardi di dollari. Di proprietà governativa quasi al 100% è la principale risorsa del Regno.

L’Arabia Saudita esita a sottoscrivere gli Accordi di Abramo con Israele, avendo a motivo l’irrisolta questione palestinese. I prodromi di una Terza Intifada in Palestina rende plausibile il timore che il Governo di destra in Israele voglia affrontare la questione solo in via di fatto, con nuovi insediamenti e la repressione di qualsiasi protesta.

Diverso e più pragmatico è l’atteggiamento degli altri membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Bahrein e Emirati Arabi Uniti hanno formalizzato i rapporti con Israele, il Qatar intrattiene relazioni di fatto. Le potenze sunnite convergono con Israele, sia pure con varie sfumature, nel ritenere l’Iran una minaccia alla stabilità regionale.

Israele tergiversa nel fornire all’Ucraina il sistema di difesa missilistica, la Cupola di Ferro, che è schierato nel paese per intercettare gli ordigni lanciati da Gaza e dal Libano. Non intende inimicarsi la Russia. Mosca  vigila sul confine con la Siria e consente all’aviazione israeliana gli attacchi alle basi filo-iraniane nel paese.

Dopo l’annessione (2014) della Crimea alla Russia, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha continuato a recarsi alle celebrazioni del 9 maggio sulla Piazza Rossa.

L’influenza russa in Medio Oriente cresce all’insegna di un nuovo “anti-imperialismo” o “anti-unilateralismo”: per mettere in discussione il modello occidentale come il solo idoneo a riscattare la regione dal ritardo politico.

Esemplare è il caso del Presidente turco Erdogan. Nazionalista islamico e autoritario, pur guidando un paese NATO, si sta ritagliando una posizione mediana fra Est e Ovest. Nel 2017 la Turchia firmò con Russia e Iran gli accordi di Astana (Kazakistan) per trasferire i ribelli siriani nelle zone sotto vigilanza speciale e congiunta. Nel 2019 acquistò dalla Russia i sistemi missilistici terra-aria S400, in violazione delle regole NATO.

Ora frappone riserve all’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO. Ma è anche il mediatore fra Ucraina e Russia, il solo finora apparentemente riconosciuto dalle Parti. Ne risultarono lo sblocco delle esportazione di grano via Mar Nero e lo scambio dei prigionieri.

In compenso la Turchia riceve forniture di idrocarburi russi a prezzi vantaggiosi, il che aiuta a contenere l’inflazione galoppante.

I Servizi occidentali prevedono un’offensiva russa via mare. Il segnale è dato dall’incremento della flotta nel Mar Nero. Il fulcro del conflitto sta per spostarsi dalla terra all’acqua.  E’ motivo d’inquietudine per noi: il Mar Nero è la rotta di accesso al Mediterraneo.

di Cosimo Risi

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