Iraq: una storia lunga oltre quaranta anni (di Cosimo Risi)

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Il 20 marzo 2023 segna il ventesimo anniversario dell’invasione americana dell’Iraq. La caduta del regime di Saddam Hussein, plasticamente rappresentata dall’abbattimento della sua gigantesca statua, la liquidazione del Partito Baath e delle Forze Armate, la messa al bando dei vecchi elementi per fare posto all’embrione della democrazia, l’irruzione dei Contractors, i moderni mercenari divenuti onnipresenti in qualsiasi conflitto che si rispetti.

Avrebbe dovuto essere il trionfo del modello occidentale, democrazia rappresentativa e liberismo economico, il 2003 segna il punto di svolta dell’egemonia americana verso un ordine, oggi chiamato multipolarismo, ancora in via di costruzione.

La storia è più antica dell’ultimo ventennio. La data d’inizio è il 1980. Saddam Hussein rinsalda il potere a Bagdad, al pari di molti despoti prima e dopo di lui, necessita di un successo militare per tacitare i residui dissensi interni e consolidare l’immagine del paladino del nazionalismo arabo. Egli si presenta come l’erede di quella tradizione che ebbe in Gamal Abd el-Nasser il campione egiziano. A capo, entrambi, del Partito transnazionale Baath, di vaga ispirazione laica e socialista.

La Repubblica Islamica d’Iran si è appena costituita, la larga coalizione di tutti gli oppositori dello Scià si frantuma per lasciare campo libero all’Ayatollah Khomeini ed al radicalismo islamico-sciita. Per Saddam è il momento giusto per regolare i conti con l’ingombrante vicino, l’esercito iracheno varca lo Shatt al- Arab e penetra in territorio iraniano. Sottovaluta la resistenza patriottica degli Iraniani. La guerra di conquista diventa guerra di posizione: logora ambedue le parti in dieci inutili quanto sanguinosi anni.

Nel 1990 Saddam Hussein gioca la carta del Kuwait. L’Emirato, al pari delle altre potenze sunnite del Golfo, ha fortemente finanziato la campagna dell’Iraq contro l’Iran. Vorrebbe la restituzione del debito. Il debitore lo salda con l’invasione dell’Emirato, lo considera una creazione artificiale dei Britannici, sarebbe in realtà la propaggine meridionale della Provincia di Basrah (Bassora). Il Kuwait è ricco di petrolio, la sua conquista apre la rotta verso l’Arabia Saudita. Il Regno dovrà fare i conti con il regime di Bagdad d’ora in poi.

Anche questa impresa finisce male. Nel 1990 la Grande Armata Americana, forte di truppe internazionali e financo arabe, libera il Kuwait. Si arresta alle porte di Bagdad. George Bush Senior non ritiene di avere il mandato internazionale per rovesciare quel regime. Saddam resta al potere, indebolito da due sconfitte successive ma non ancora domo.

Nel 2001, George Bush Junior vuole completare la missione lasciata incompiuta dal padre. Sospetta che l’Iraq nasconda armi di distruzione di massa e complotti con Al Qaeda, l’organizzazione terroristica responsabile degli attentati. Saddam è destituito e condannato a morte, il regime baathista scompigliato. L’Iraq è il banco di prova per la nuova democrazia. Diviene la culla del DAESH – ISIS, l’autoproclamato Califfato islamico alimentato dai fuoriusciti dell’esercito iracheno e del Baath a trazione sunnita.

Scrive una studiosa americana che “isteria e hubris [arroganza] presero gli Stati Uniti dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. L’Amministrazione Bush decise che la minaccia di tali future calamità richiedeva una Guerra Globale al Terrorismo avendo a bersaglio un guazzabuglio di situazioni. Questa Guerra combattuta in vari modi avrebbe impattato negativamente sul Medio Oriente in particolare”.

Dal 2003 l’Iraq è un paese scosso da crisi: senza pace né democrazia. Ironicamente “i diplomatici russi rilevano che l’invasione americana dell’Iraq giustifica la loro aggressione all’Ucraina”. Costituisce un nefasto precedente.

di Cosimo Risi

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