La increible y la triste historia del PNRR (di Cosimo Risi)

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Ci fosse ancora Gabriel Garcia Marquez, sui social gira la sua foto con altre celebrità al fianco di Gianni Minà, intitolerebbe così, mutuando dalla sua antologia di racconti, la vicenda del PNNR in salsa italiana. Che non è di pomodoro, ma rischia, metaforicamente, di condirsi di lacrime e sangue. Lacrime per la rabbia dei negoziatori e sangue per la perdita delle risorse.

La historia comincia nel 2020. In piena pandemia, con l’economia bloccata dalle chiusure, con l’Italia impaurita e smarrita nella prospettiva di un fosco avvenire, l’asse franco-tedesco, allora a trazione francese, decise di dare il via libera al primo caso di indebitamento della Commissione europea sui mercati. Si rompeva così il tabù della parità di bilancio, conseguenziale e complementare all’austerità di marca nordica, per consentire di finanziare un’operazione straordinaria di rinascita e resilienza.

Ad avvantaggiarsi dell’increible pacchetto sarebbero stati gli stati membri più colpiti dalle conseguenze della pandemia, Italia per prima. Il pacchetto comprendeva una quota a dono ed una a prestito con interesse vicino allo zero e scadenza pluriennale. Si disse che la quota a prestito era comunque gravosa, meglio che tutto fosse a dono. L’idea non passò e ci accontentammo.

Era in carica il Gabinetto Conte, poi sostituito dal Gabinetto Draghi proprio per dare concretezza alla risposta italiana. Prima ancora di capire se come e quando avremmo speso i miliardi di euro, si prospettò l’ipotesi di rendere strutturale Next Generation EU (NGEU), il nome in codice della nuova provvidenza finanziaria, volta appunto a creare un ambiente per le nuove generazioni. La parola ambiente non è casuale, NGEU si intrecciava con il New Green Deal della Commissione von der Leyen. In Europa se qualcosa non si qualifica di “new”, nuovo, non ha senso comune.

La diatriba interna su chi nel Governo era chiamato a governare il PNRR sembrava risolta a favore del soggetto tradizionalmente più forte, il Ministero dell’Economia e Finanze, affidato ad un ex Direttore Generale della Banca d’Italia nonché ex Ragioniere Generale dello Stato. Un personaggio che, assieme al Presidente del Consiglio e già Presidente della BCE, si muoveva fra Bruxelles e Francoforte con la perizia dell’uomo navigato.

Si tengono le elezioni, cambia il Governo, i due sono sostituiti da colleghi palesemente meno avvezzi alle cose europee. Con una pregiudiziale a carico della Presidente del Consiglio: nella perenne campagna elettorale italiana, era stata prodiga di critiche ai Palazzi di Bruxelles, l’accusa di tecnocrazia era la meno contundente, ed ai principali stati membri, fra i quali Francia e Germania che avevano di fatto dato vita a NGEU.

Si decide inoltre che la responsabilità del coordinamento passi al Ministro per gli Affari Europei. Il suo è un Dipartimento senza portafoglio, e dunque senza la megastruttura del MEF, posto alle dipendenze della Presidenza del Consiglio. Il Ministro in questione è persona di esperienza europea avendo servito a Strasburgo, certo non ha l’allure di chi ha presieduto la Banca Centrale.

L’attività di coordinamento è fra le più ardue della pubblica amministrazione, dove la parola è comunemente associata alla libertà dei soggetti coordinati  di operare, o non operare, come d’abitudine.

Decenni di blocco delle assunzioni e di fondi lesinati agli enti locali, la paura della firma che attanaglia i dirigenti, la magra prova delle Regioni nella pandemia, e varie altre storture avrebbero dovuto avvertire che la pubblica amministrazione, specie nei gangli periferici, non è nelle condizioni per progettare ed eseguire i progetti nei tempi richiesti. A meno di non ricorrere a progetti già nel cassetto, si pensi agli stadi di calcio, affascinanti e culturali in senso lato, ma che  non rientrano fra le priorità di NGEU.

La Commissione approva i progetti nazionali, ne vigila lo stato d’attuazione, in conformità sblocca tranche di finanziamenti. Quelli del 2023 sono oggetto di discussione fra Roma e Bruxelles e  dei moniti del Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato si pone a garante della nostra conformità alle politiche europee, a scanso di qualsiasi reinterpretazione di comodo.

Certe dichiarazioni per riscrivere il passato secondo la convenienza del momento, e per giunta in prossimità del 25 aprile, sviano la pubblica attenzione. Distorcono i fatti e mostrano che siamo ancorati a categorie del passato. Che badiamo  poco o per nulla alla Next Generation.

di Cosimo Risi

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