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La risposta all’emergenza (di Giuseppe Fauceglia)

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La tragedia che ha colpito l’Emilia Romagna, prescindendo dalla eccezionalità dell’evento, ha posto ancora una volta l’urgenza di investimenti in opere pubbliche per la gestione e la salvaguardia del territorio. Gli investimenti in un settore così vitale sono stati nel recente passato compromessi dalla mancanza di risorse pubbliche e da vincoli di bilancio.

Lo stesso argomento non può più essere utilizzato, in considerazione delle enormi risorse messe a disposizione dall’Unione Europea. Ad esempio, la dote finanziaria che dovrebbe essere destinata al Mezzogiorno, fra PNRR, fondi strutturali e di coesione, fondi nazionali, nel periodo 2023-2027 sarebbe pari a circa 350 miliardi di euro.

Queste risorse, come è ovvio, non sono tutte destinate alla tutela dell’ambiente e alla sostenibilità, ma di certo non può negarsi, anche a fronte di una crescente sensibilità dell’opinione pubblica, che questi settori rappresentano campi prioritari, come quelli del dissesto idro-geologico, della valorizzazione della biodiversità in uno al recupero produttivo ed eco-compatibile di vaste zone agricole oggi abbandonate, della razionalizzazione nella captazione e nella distribuzione delle risorse idriche.

Si pone, allora, il problema di non vanificare questo consistente flusso di risorse, abbandonando il negativo esempio, già maturato al tempo del governo Draghi, di disperderle nei rivoli di interventi marginali (basti pensare alle rilevanti risorse attribuite alle singole scuole, nella grande confusione delle competenze in relazione agli interventi da compiere), con distribuzione a pioggia in assenza di qualsiasi criterio di macro-programmazione. Il Ministro per l’Ambiente, Pichetto Fratin, ha chiesto tempi certi per l’adozione delle decisioni da assumere in ordine alle opere da finanziare e scadenze vincolanti per la loro realizzazione.

Il problema resta, però, quello di sempre: un diffuso potere di veto, in cui concorre la inefficienza della pubblica amministrazione e le stesse decisioni della magistratura, che blocca per decenni l’esecuzione di opere in attesa di accertamenti di eventuali reati (pensate a quello che è accaduto allo svincolo autostradale di Battipaglia, fermo per venti anni) oppure in attesa di una sentenza, che resterà lontanissima nel tempo, sull’aggiudicazione nelle gare di appalto.

Resta, però, determinante l’invadenza di una burocrazia che non si è dotata neppure delle ordinarie capacità tipiche dell’amministrazione novecentesca (richiamo le interessanti analisi di Sabino Cassese e di Maurizio Ferrara).

Nonostante le promesse di mettere mano a questo vero e proprio “nodo gordiano”, oggi non abbiamo né un processo di semplificazione delle procedure né l’acquisizione di vere competenze professionali nella pubblica amministrazione.

Eppure gli eventi estremi di questi giorni e di quanto potrà nel futuro accadere, secondo le non tranquillizzanti previsioni degli esperti, dovrebbero indurre a ridurre in modo significativo il complesso e diffuso potere di veto, che resta il vero e proprio collo di bottiglia di ogni intervento nelle opere pubbliche.

Mentre nell’immediato lo Stato, tramite l’efficienza della Protezione civile e lo stanziamento di risorse urgenti per far fronte all’emergenza, ha dato buona prova di sé, altrettanto non può dirsi per gli interventi di medio e lungo periodo. Ma proprio questo, invece, resta il profilo determinante del ruolo dello Stato, nelle sue diverse articolazioni territoriali, a fronte delle emergenze ambientali.

Giuseppe  Fauceglia  

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