Site icon Salernonotizie.it

A scuola di realismo politico (di Cosimo Risi)

Stampa
Heinz Alfred Kissinger nasce nel 1923 in Germania, l’abbandona per sfuggire alle persecuzioni contro gli Ebrei, si stabilisce negli Stati Uniti, traduce Heinz in Henry, diventa Segretario di Stato di due Presidenti, si atteggia con successo a vate della diplomazia.

Un incrocio fra Charles-Maurice de Talleyrand e Nicolò  Machiavelli. Il suo gusto per il paradosso occupa le pagine dei giornali per lo stupore del mondo.

Dall’alto dei suoi primi cento anni, Henry Kissinger sostiene due posizioni in apparente contraddizione. L’Occidente (gli Stati Uniti) sbagliò a spingere l’Ucraina verso la NATO, ma ha fatto bene a resistere all’aggressione russa. La Russia avrebbe ora l’interesse all’’Ucraina nella NATO, servirebbe a stabilizzare il sistema europeo: l’equilibrio delle forze contrapposte escluderebbe nuove avventure militari. Se nessuna parte può vincere, nessuna parte perde, inutile combattere.

Sull’allargamento dell’Alleanza ad Est si sono sprecati i commenti dallo scoppio del conflitto. Mosca percepiva l’allargamento come una minaccia alla propria sicurezza e lo prese a pretesto dell’aggressione.

L’ipotesi dell’Ucraina sotto l’usbergo NATO non è peregrina. L’opzione è evocata al vertice di Chisinau (Moldavia) della Comunità Politica Europea, la strana creatura che riunisce tutti i paesi  europei salvo Bielorussia e Russia. Si congelano le operazioni belliche sulle posizioni in campo. L’Ucraina rinuncia al momento  a riguadagnare i territori perduti, specie la Crimea che di fatto è già “russa”, in cambio ottiene l’impegno NATO a difenderne la sicurezza in caso di nuove minacce.

Cadrebbe così la pregiudiziale Zelenskyj:  l’eventuale negoziato può partire solo se la Russia torna alle posizioni precedenti il febbraio 2022. Sarebbe uno spiraglio considerevole per porre fine alla guerra guerreggiata  e dare respiro alle popolazioni disastrate.

L’adesione dell’Ucraina alla NATO va di pari passo con l’adesione all’Unione europea. E’ il cosiddetto doppio binario. Non tutti sono convinti dell’opportunità del parallelismo. La partecipazione alla NATO significa condividere lo specifico aspetto della sicurezza, la partecipazione all’UE significa mettere tutto in comune.

La Germania, tramite la sua Ministra degli Esteri, rammenta un punto fondamentale della politica europea dell’allargamento: non si accettano nuovi soci che abbiano vertenze territoriali con i vicini. Ad evitare che le loro vertenze diventino comuni e rendano difficili all’Unione i rapporti con quegli stessi vicini.

Il discorso sulle vertenze territoriali si applica anche ai Balcani occidentali. La Serbia non riconosce l’indipendenza del Kosovo. La Russia adopera spregiudicatamente gli amici serbi contro l’Unione e la NATO: si pensi all’attacco al contingente NATO guidato dall’Italia. Situazioni incerte riguardano pure  Bosnia,  Macedonia,  Montenegro.

Ed allora perché la Commissione ed alcuni stati membri prospettano l’adesione a paesi così problematici?

La risposta è che la partecipazione all’Unione è di per sé un fattore di stabilizzazione. Bruxelles somiglierebbe all’Atene di Pericle: una scuola di democrazia e di buon vicinato. L’anelito di pace  si spanderebbe dal Belgio  alle provincie orientali.

Ci vuole molta fiducia nelle capacità didascaliche dell’Unione per sostenere questa linea. A meno che qualcuno non tenti surrettiziamente di volgere il sistema europeo, a  dimensione sovranazionale, verso una normale organizzazione intergovernativa. Dove qualsiasi stato membro possa dire la sua senza subire i controlli dall’alto.

L’allargamento ai nuovi membri  e l’approfondimento, in concreto la riforma dell’Unione in senso federalistico, devono procedere di pari passo. Si rischia altrimenti lo stallo completo fra vecchie e nuove divisioni.

di Cosimo Risi

Exit mobile version