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Difendere il presepe e la nostra cultura (di Giuseppe Fauceglia)

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“Voglio far memoria di quel bambino nato a Betlemme, e vedere i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”: sono queste le parole, riproposte in un italiano “moderno”, che vennero pronunciate da San Francesco d’Assisi a Greggio, ottocento anni fa, in occasione del primo presepe. Si tratta di una leggenda alla quale, come ha ricordato di recente Roberto Beretta  su “Avvenire.it”, siamo tutti affezionati, proprio per l’umile, ma tenace ed irriducibile, riproposizione della povertà cristiana, così come la intendeva l’ Assisiate.

Il presepe è diventato nei secoli un luogo raggiante di letizia, alla cui preparazione concorrono grandi e piccini, i quali, in questo modo, intendono celebrare il mistero della nascita di Gesù per magnificare la universalità della salvezza. Con il tempo, il presepe è diventato anche un segno di tenerezza, manifestazione di quell’annuncio che si rivolge, nella povertà e nella periferia del mondo e delle nostre città, alle persone più semplici, sia a quelle che si avvedono dell’evento che a quelle che lo ignorano. Si può, allora, ritenere che ogni “uomo” che appartiene alla nostra “cultura” finisce per sentirsi parte di questa “rappresentazione”, la quale è diventata comune sentire, un dato di quella convivenza che unisce gli individui.

Negli ultimi anni, specie da coloro che approdano in Italia, a seguito di un imponente ed inarrestabile flusso migratorio, da nazioni di fede mussulmana, viene contestata la presenza nelle scuole del presepe, dimenticando che nei loro paesi di origine la sola professione della fede cristiana può comportare la morte.

L’occidente, decadente ed affogato in un miraggio di vacuo benessere, ha finito per cedere le armi, privando i bambini delle scuole primarie della gioia nella preparazione del presepe, così cancellando quell’aspettativa che ha allietato la infanzia di noi, meno o diversamente giovani, in occasione dell’avvicinarsi del Natale. La tradizione e la cultura del nostro Paese è finita per passare in secondo piano, nel dimenticatoio del “politicamente corretto” che ha eroso le radici della nostra storia.

Qui non si tratta di mettere in discussione le radici della laicità dello Stato, come vorrebbero i correi della decadenza, o di imporre in ambito scolastico il presepe “per legge”, quanto di avere la consapevolezza che, accettando l’impluvio abrasivo della tradizione secolare, si finirebbe per mettere in pericolo la cifra della nostra storia e le stesse fondamenta della nostra cultura, sulle quali la scuola non può soprassedere o restare silente.

Per questo, resistere sulla linea del Piave in difesa del presepe rappresenta un dovere e una necessità, dalla quale non possiamo ritenerci esentati.

Colgo, con immutato “orgoglio” cristiano, l’occasione per rivolgere ai lettori di “Salerno Notizie” il più fervido augurio di un sereno Santo Natale, dando loro appuntamento dopo le festività.

Giuseppe Fauceglia 

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