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L’Unione europea nella trappola di Tucidide (di Cosimo Risi)

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La trappola di Tucidide è bi-direzionale sotto vari profili. C’è chi la vuole evitare perseguendo la pista diplomatica, c’è chi la ritiene inevitabile e corre ai ripari. Ambedue le reazioni tendono a semplificare, lo scenario è assai sfaccettato per le numerose varianti in gioco.

La Russia si sente più forte sul piano militare ed ha sistemato la pratica elettorale nel modo che ora diamo per scontato. A Mosca si riapre la pratica jihadista con l’ISIS-Khorasan (lo Stato islamico di stanza in Afghanistan). La capitale russa si scopre così “occidentale”, è l’avamposto cristiano della civiltà che l’ISIS combatte.

In Ucraina si riattivano gli sforzi di mediazione per l’Ucraina. Dopo l’avvertimento della Cina “di guerra nucleare non si deve parlare”, entra in campo l’India. Il Premier Modi telefona a Putin e Zelenskyj. Le due potenze asiatiche, in perenne confronto fra loro, si trovano d’accordo su un punto: il mondo non ha bisogno di un conflitto generalizzato, nuoce agli scambi internazionali.

L’attesa per le elezioni americane di novembre è alta in Medio Oriente. Il rapporto fra Benjamin Netanyahu e Joe Biden è ai minimi termini. Dopo un mese di silenzio diretto,  i due hanno parlato al telefono per concludere la conversazione con l’irrigidimento sulle posizioni di partenza. Israele continua a pianificare l’assalto a Rafah, l’ultima postazione di Hamas a Gaza.

Gli Stati Uniti ritengono che  Hamas vada disintegrata con mezzi che salvaguardino la popolazione palestinese. Durante l’ultima missione a Gerusalemme, il Segretario di Stato Blinken si fa dire dal Primo Ministro che “Israele attaccherà Rafah, meglio se con gli Stati Uniti ma anche da soli”.

Chuck Schumer è il capogruppo democratico al Senato americano. E’ l’ebreo di più alto rango nella politica americana. Schumer sostiene che Israele necessita di un cambio di governo attraverso le elezioni anticipate. La sortita di Schumer, un sicuro amico di Israele, è letta dagli avversari come un’interferenza esterna in un paese sovrano. I Repubblicani sostengono, con Donald Trump, che gli ebrei che votano democratico tradiscono Israele.

Jared Kushner, il genero di Trump e già suo inviato in Medio Oriente, esce con una serie di affermazioni che sarebbero fuori contesto per qualsiasi personaggio, non per lui che del candidato repubblicano alla Casa Bianca è intimo.

Kushner parla della spiaggia di Gaza come di una “proprietà ad alto valore immobiliare”: a condizione che la Striscia sia sgomberata dai suoi abitanti. Con le distruzioni di questi mesi, Gaza non esiste quasi più, tanto vale che gli abitanti residui si trasferiscano in parte in Egitto e in parte nel Negev. L’Egitto non li vuole, va convinto ad accoglierli “con mezzi diplomatici”. Il Negev va riadattato con la tecnologia israeliana, è capace di miracoli nel deserto. Ed infine: “sarebbe una pessima idea riconoscere lo Stato di Palestina per premiare un atto terroristico”.

Nel suo parlare ruvido, Kushner delinea la strategia della nuova, ipotetica Amministrazione Trump: un misto di spregiudicatezza e  senso degli affari. Sullo sfondo è l’estensione degli Accordi di Abramo, di cui lo stesso Kushner fu promotore, ai paesi arabi in lista d’attesa, in primis il Regno saudita. La sua è la ricetta per sottrarre il Medio Oriente alla trappola di Tucidide: raggiungere la stabilità cristallizzando le posizioni attuali. La chiave è la ricerca generalizzata del guadagno.

La stessa ricetta si applicherebbe in Europa: cristallizzare le posizioni attuali sul terreno ed optare per una forma di cooperazione mercantilistica con la Russia. Né nemici né amici, soci in affari.

L’Unione europea è chiamata in campo, deve farsi carico delle proprie responsabilità. La sicurezza è affare europeo e sempre meno americano. Il Consiglio europeo di marzo accoglie la proposta dell’Alto Rappresentante di mobilitare civili e militari per resistere agli eventi bellici. La guerra nel Continente è probabile, non imminente.

Borrell insiste per una politica comune di difesa. A finanziarla occorrono risorse aggiuntive a quelle ordinarie di bilancio. Per alcuni stati membri bisogna emettere nuove euro-obbligazioni, sul modello del Recovery Plan. Altri stati membri  (Germania, Paesi Bassi) si irrigidiscono  al solo sentire di debito comune.

Gli eventi corrono, l’Unione riflette, nel frattempo sceglie di non scegliere. Attende l’avvento di novembre.

di Cosimo Risi

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