Il tempo dell’attesa (di Cosimo Risi)

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Nel linguaggio corrente il tempo dell’attesa è con il fiato sospeso. L’attesa è lunga fino a novembre, tenere il fiato sospeso tutto il tempo non si può.

Volodymyr Zelenskyj, da vecchio uomo dello spettacolo, nell’immancabile tuta mimetica, un abito di scena ormai, annuncia a Cernobbio il piano di pace. Non uno qualsiasi, ma quello vero e finale. Il colpo di scena sta nel fatto che il piano è evocato per la curiosità degli astanti, qualche dettaglio l’avrà confidato a Giorgia Meloni nella mezz’ora di colloquio. Lo rivelerà a Kamala Harris o Donald Trump appena uno o una dei due accederà alla Casa Bianca. Dunque, a novembre. Vladimir Putin quando lo conoscerà? E soprattutto come reagirà?

Poiché la diplomazia è efficace quando marcia per canali oscuri, è possibile che qualche abboccamento fra le parti avvenga in qualche luogo e che la Russia sia al corrente dei tratti essenziali. A mettere le mani avanti ci pensa il Presidente russo: dichiara irrinunciabile la liberazione del Donbass.

Come a dire: trattiamo pure sul resto, ma le conquiste territoriali tali devono restare, altrimenti perché combattere quasi tre anni, svuotare il bilancio statale, consegnare il paese di fatto alla Cina, chiedere le forniture di armi a Iran e Corea del Nord. Per l’orgoglio russo sarà pesante non solo non vincere rapidamente, come s’immaginava nel febbraio 2022, ma sottoporsi a potenze non necessariamente amiche e solo per lo stato di necessità.

Il partner europeo per eccellenza, la Germania, non è che se la passi molto bene. Gli indicatori economici sono negativi, anche se di qui a definirla frettolosamente “la malata d’Europa” ce ne passa. C’è una sorta di masochistico compiacimento a guardare ai mali economici altrui. Dimentichiamo che il malessere tedesco porta appresso il malessere italiano. Le nostre economie sono integrate, per non parlare del comune destino in seno all’Euro.

La Germania che cala significa il desiderio di austerità che cresce. Il primo bersaglio dell’austerità tedesca, e nordica in generale, è il disastrato bilancio italiano. Altro che rendere strutturale Next Generation EU, si proverà ad applicare con rigore il rinnovato Patto di stabilità e crescita. Quel Patto che, nelle mutevoli dichiarazioni del nostro Ministro dell’Economia, è al tempo stesso un progresso e un regresso.

Non resta con il fiato sospeso l’altro protagonista della rovente estate bellica. Alla vigilia dei fatti di ottobre 2023, mentre parte della popolazione si rifiuta di commemorare la scadenza in polemica con lui, il Primo Ministro d’Israele mostra in video la mappa della regione.

Non è la prima volta che ricorre alla cartografia, questa volta il messaggio è subliminale: la Terra di Israele va dal mare al fiume. Il mare è il Mediterraneo di Gaza, il fiume è il Giordano condiviso con Cisgiordania (meglio definirla con l’inglese West Bank) e Regno di Giordania.

L’attesa delle elezioni americane sospende l’eterno processo elettorale in Israele. Al momento in cui lasciò il Gabinetto di guerra, Benny Gantz invocò le elezioni anticipate per rimuovere la coalizione di destra-destra. Di ricorrere subito alle urne non è più tempo, si attende chi governerà a Washington.

Gli Israeliani avranno informazioni più accurate degli altri se fra loro serpeggia l’idea che alla fine prevarrà Trump. Con il Repubblicano di ritorno sarà tutta un’altra storia. Trump si autodefinisce “uomo della pace”: il solo capace di evitare la terza guerra mondiale. Non un affare da poco.

La battuta polemica risponde alla dichiarazione di voto di Dick Cheney, il Repubblicano più tosto che si conosca, l’ispiratore del film “Vice” di Adam McKay con il trasfigurato Christian Bale a interpretare il Vicepresidente di George W. Bush.

Dopo la figlia Liz, già parlamentare repubblicana, Dick Cheney vota per Harris, considera Trump un personaggio pericoloso per la repubblica. Per dirlo lui che di pericoli ne ha fatti correre alla repubblica e al mondo, l’affermazione suona come monito.

Non per il complesso dell’elettorato però. Gli ultimi sondaggi danno Trump in vantaggio. L’ondata favorevole a Harris, dovuta alla novità della candidatura, sta cedendo il passo a considerazioni più tradizionali. È il tempo dell’attesa.

Emmanuel Macron lo riempie con il ritorno al passato. Michel Barnier, da Primo Ministro, è l’eterno ritorno. Altro che né destra né sinistra del primo Macron. Uomo per tutte le stagioni, Barnier deve le sue ultime gesta al negoziato per Brexit. Una prova straordinaria di pazienza e determinazione. Trattare con Boris Johnson è stata una buona palestra per affrontare Marine Le Pen.

di Cosimo Risi

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