Da Fo a Dylan, un Nobel senza frontiere (di Tony Ardito)

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tony-ardito“Sarei proprio contento se fosse lui a vincere, purtroppo temo che non avverrà perché da sempre vige la regola che quando si fanno previsioni, non si avverano” così Dario Fo si era espresso riferendosi a Bob Dylan nel 1997, solo poco tempo prima che il comitato gli conferisse, a sorpresa, il Nobel per la Letteratura.

Trascorsi 19 anni, nel medesimo giorno in cui a Milano il cuore di uno dei maggiori protagonisti della scena del nostro teatro cessava di battere, a Stoccolma veniva annunciato che il premio Nobel 2016 per la Letteratura sarebbe stato assegnato a Robert Allen Zimmerman, nato a Duluth il 24 maggio del 1941, in arte Bob Dylan, per aver “creato una nuova espressione poetica nell’ambito della tradizione della grande canzone americana”. Un proclama salutato dai presenti in sala con grandissimo entusiasmo.

Il cantautore era stato più volte indicato per il prestigioso riconoscimento. Già nel settembre del 1996 Gordon Ball, docente di letteratura dell’Università della Virginia, lo indicò all’Accademia Reale Svedese come meritevole del premio, spiegando che l’artista veniva proposto “per l’influenza che le sue canzoni e le sue liriche hanno avuto in tutto il mondo, elevando la musica a forma poetica contemporanea”.

Il 13 ottobre scorso, mentre il diretto interessato, come nel suo stile, non si pronunciava, né cedeva a pur comprensibili manifestazioni di entusiasmo, alcuni soloni scatenavano un approfondito dibattito sulla opportunità di annoverare un cantante tra i “letterati” e, quindi, se fosse giusto o no che Dylan ricevesse la ambita investitura. Nel 1997 analoghe riserve furono mosse, guarda caso, nei confronti dell’attore Dario Fo.

Non provo neppure a cimentarmi in un ragionamento sul tema, ma molto umilmente, vorrei, però, constatare  che il contributo offerto da Bob Dylan, non solo alla Musica, è indiscutibile; come lo è lo smisurato patrimonio di Pensieri e Parole che egli è riuscito a far fluttuare tra molti milioni di appassionati fruitori di diverse generazioni e di ogni dove.

Se la Cultura è “contaminazione”, quella che si divulga anche attraverso il pentagramma, poi, è l’unica che si scrive e legge allo stesso modo in qualunque parte del mondo.

Che lo strumento sia una penna o una chitarra, ritengo non faccia poi molta differenza, l’importante sono i contenuti che essi comunicano; ciò che son capaci di evocare o che riescono ad esprimere e suscitare nella coscienza e nella ragione delle singole persone e degli interi popoli.

Mi piace concludere richiamando Eugenio Montale, il quale disse “Grazie alla musica ho scoperto la poesia”.

 

editoriale a cura di Tony Ardito

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