Riorganizzare la rete pediatrica regionale, è solo questione di risorse? (di Tony Ardito)

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tony_ardito_foto_2Nel 2014 il monitoraggio dell’Age.na.s. (Agenzia Nazionale per la Sanità) evidenziava un numero di accessi in pronto soccorso, presso l’ospedale pediatrico Santobono di Napoli, pari a 107.000 mentre il Bambin Gesù di Roma ne registrava 77.000, il Meyer di Firenze 43.000, il Gaslini di Genova 36.000.

Anche per il 2015 il nosocomio pediatrico napoletano ha totalizzato un elevatissimo numero di accessi in, pari a oltre 105.000 casi. Parliamo di una media di circa 300 casi al giorno, 12 all’ora con picchi di 20 bambini/ora nelle fasce orarie più affollate. Solo poco più di 6.700 di essi, tuttavia, hanno richiesto una qualche necessità di ricovero (più o meno il 6,4% del totale).

Ciò dovrebbe comportare, da parte degli operatori sanitari, la capacità di distinguere le reali necessità dei piccoli condotti a visita. Questo è il dato che si registra in un ospedale al centro della rete di emergenza pediatrica campana, ma la situazione, sia pure in scala, si ripropone simile negli altri nosocomi dell’intero territorio, in cui la situazione è acutizzata dalle carenze di organico e, spesso, dalla difficoltà di articolare i turni di servizio.

Tali condizioni non agevolavano il trattamento di casi di elevata complessità, presso la rete pediatrica ospedaliera regionale, in quanto le risorse vengono di fatto assorbite dalla cura di quelli meno gravi; ovvero di quei casi i che dovrebbero essere, invece, presi in carico dagli operatori territoriali e dagli ospedali periferici della intera area. Se poi vi fosse una maggiore disponibilità di risorse, si potrebbe pure contenere e ridurre la migrazione sanitaria di pazienti fuori regione. Si delinea, purtroppo, un quadro disomogeneo se si considera che, in Italia, la rete di assistenza pediatrica territoriale –  almeno sulla carta – è organizzata in modo più capillare che altrove.

Ed allora, perché un tale afflusso di piccoli pazienti presso i pronto soccorso ospedalieri ha un tasso di ospedalizzazione più elevato rispetto ad altre nazioni occidentali?

In Campania la risposta territoriale è normata da regole ritenute rigide nel disciplinare gli accessi agli studi pediatrici durante la settimana, mentre nella fascia oraria notturna e festiva, risulterebbe deficitaria, con una continuità assistenziale, in alcuni casi, ad intermittenza. Un bambino – come chiunque – può avvertire un malore in qualsiasi momento e, quando un genitore non incontra soluzioni, sollecite e tranquillizzanti, è normale che si rivolga all’ospedale.

Sarebbe, dunque, arduo ipotizzare un’assistenza territoriale che prenda in carico i casi più semplici, almeno in una fascia oraria più estesa e nei giorni festivi, ma naturalmente non riferita alle sole emergenze pediatriche? Forse no; basterebbe organizzarsi con personale paramedico meglio coordinato e, soprattutto, con medici da attingere – per esempio – dai corposi uffici delle diverse amministrazioni, ove taluni professionisti hanno preferito appendere il camice onde occuparsi di burocrazia e di gestione. Si potrebbero così allestire ambulatori zonali capaci di fare fronte alle immediate esigenze.

Tale opzione fornirebbe una prima, vera rassicurazione a pazienti e familiari d’ogni età e potrebbe contribuire ad evitare inutili ricoveri, riducendo di conseguenza i costi di degenza. Tutto ciò darebbe, altresì,  un contributo alla invocata integrazione fra la medicina territoriale e quella ospedaliera, alla quale verrebbero, ovviamente, filtrati e destinati i casi più seri.

A giudizio di tanti addetti ai lavori è ragionevole, un po’ articolato, ma certamente non impossibile.

Al netto di gravosissime eredità e “mali” atavici, è solo una questione politico-amministrativa, o anche di buon senso e di buona volontà?

editoriale a cura di Tony Ardito

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