Renzi non nasconde, nel colloquio con il Qn, l’amarezza di questo momento ma, spiega, “lo affronto come ho sempre vissuto, a testa alta, con responsabilità”. Non lascerà la politica, anzi rilancerà. Ma precisa: “Quando ho detto che avrei smesso con la politica intendevo dire che avrei smesso di essere pagato dalla politica, e così è stato. Non sono parlamentare, non ho stipendi, prebende nè garanzie… Eppure ho mollato lo stesso”. La road map di Renzi, come spiega un retroscena su Repubblica, sarebbe un congresso blitz e primarie nazionali a febbraio: “candidature per la segreteria nazionale del Pd entro il 10 gennaio e primarie aperte a tutti il 26 febbraio o al più tardi il 5 marzo”.
Per rendere possibile questo scenario la carta da giocare per l’ex premier sarebbe appunto quella di dimettersi anche da segretario del Pd e poi candidarsi, riconquistare il partito e provare a puntare dritto al governo con elezioni politiche a giugno. E’ in forse anche la partecipazione di Renzi alla direzione del Pd convocata per oggi. Ma la minoranza dem potrebbe sfilarsi da un “congresso-referendum” della serie “se è così le primarie se le fa da solo”. L’arma nelle mani della minoranza è non far ritirare le deleghe e “chissà se ci sarà o meno il quorum” nel parlamentino dem dell’assemblea nazionale che dovrebbe approvare la modifica dello statuto. Per fare direttamente le primarie nazionali è infatti necessario modificare lo statuto del Partito democratico “saltando le convenzioni dei circoli che affiancano i congressi e selezionano i tre candidati da inviare alla conta finale”. L’appuntamento con l’assemblea nazionale è già fissato per domenica prossima, 18 dicembre.