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“Uno vale uno”: la lotta alle competenze e le paure di una società fragile

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L’insorgere della crisi provocata dalla diffusione del coronavirus e le sue conseguenze sulla vita di ogni giorno, mi induce a svolgere alcune  riflessioni stimolate dalle più disparate e bizzarre opinioni che ho letto sui social.

Il  successo di movimenti, che hanno avuto come principale ispirazione l’attacco all’élite culturale e alle competenze professionali, è stato ispirato dalla tesi secondo cui “uno vale uno”: l’inconsapevole navigatore su internet ha le stesse competenze scientifiche di un virologo di fama, oppure una semplice ragioniera (mi perdonino i ragionieri veri, quelli cioè che si dedicano con impegno e competenza all’esercizio della loro professione) divenuta per caso vice ministro, ha la stessa competenza di un ministro quasi premio Nobel per l’economia (come Padovan).

L’ordalia della ignoranza ha così finito per distruggere il valore della competenza professionale. Per averne contezza è sufficiente esaminare la composizione del Parlamento e finanche dello stesso Governo.

In questo contesto, ognuno si è ritenuto capace di intervenire sui temi più delicati e sensibili, formulando giudizi avventati e, a volte, sprovvisti di ogni fondatezza, come nel caso dei Novax o dei terrapiattisti (alcuni di questi sono addirittura stati nominati sottosegretari di Sato),  rafforzando una vera e propria ideologia  antiscientifica.

Il vero problema, però, non è l’insorgere di tali fenomeni, ma il fatto che addirittura un’intera classe politica è stata costruita su questa vera e propria deriva anti-moderna, nell’altrettanto errata considerazione che il politico debba dare voce agli istinti del “popolo”.

Io, invece, ritengo che un politico debba prescindere dalla “pancia” degli elettori e dalla manifestazione scomposta del mero impulso sociale, cercando, invece, di razionalizzare i “bisogni”  e le “esigenze vere”, offrendo una soluzione. Non voglio che un politico sia uguale a me, pretendo e desidero sempre che sia migliore.

Bisogna riconoscere che questa situazione è il  frutto della selezione della classe dirigente negli ultimi decenni, avvenuta o nelle camere da letto o nei mercati degli scambi economici e degli interessi.

In tal modo,  con il diffondersi dell’ epidemia sono improvvisamente spuntati come funghi dopo la pioggia, esperti in virus e bacilli di ogni tipo, in politiche di contenimento dei rischi da contagio, nonchè veri e propri geni dell’ organizzazione delle strutture sanitarie di emergenza. Ed su questa strada si è oggettivamente collocato (come avrebbe potuto essere diversamente !!) il Governo, anche dopo gli avvertimenti di scienziati di chiara fama.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: il ritardo nell’assumere  provvedimenti adeguati (come nei primi giorni, il controllo anche dei voli indiretti dalla Cina) e, in seguito, l’adozione di rimedi tardivi, pletorici ed inutili, hanno contribuito a creare  un clima di paura in cui è stato inseguito lo spettro dell’untore invisibile.

E’  una paura antica che trasuda da una società immersa nell’ignoranza a fronte dell’impotenza verso l’ignoto e l’incomprensibile, e non una paura, che potrebbe definirsi moderna, ovvero frutto della razionalità e della consapevolezza dei progressi fatti dalla medicina e dall’impegno scientifico per debellare il male.

E’ evidente che quella paura antica resta il risultato del veleno iniettato nell’ultimo decennio nelle vene degli italiani, delle crescenti aspettative pur in assenza di conoscenza, della violenta diffidenza verso le competenze professionali e scientifiche  Il risultato è  la caccia all’untore, le aggressioni (per fortuna limitate) ai cinesi presenti nel nostro Paese, le isterie collettive con l’assalto ai supermercati. Voglio sperare, allora, che questa emergenza possa rappresentare l’occasione per dare maggiore fiducia alla scienza, alla medicina e alle competenze vere.

Giuseppe Fauceglia

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