Il burro – sottolinea la Coldiretti – sta riacquistando popolarità ed è tornato ad essere uno dei grassi più usati in cucina per i suoi molti suoi punti di forza: a differenza delle margarine non è un prodotto chimico, è meno calorico degli oli, non è idrogenato ed è ricco di nutrienti come il calcio, sali minerali, proteine del latte e la vitamina A, senza contare che è un prodotto del tutto naturale e senza conservanti.
“Gli effetti positivi – spiega Salvatore Loffreda, direttore di Coldiretti Campania – si scaricano su tutta la filiera zootecnica, grazie ai benefici sia sul prezzo del latte bovino che bufalino generando effetti concreti sulla crescita del Pil regionale. Una filiera che si porta dietro anche altre produzioni agricole come quella foraggera.
Il boom delle quotazioni, dopo quelle insostenibili del passato per gli allevamenti, finisce per incidere su tutti i prodotti lattiero caseari, dalla panna alla crema di latte, dal formaggio al latte spot che alla Borsa di Lodi, principale piazza di riferimento per il nord Italia, ha toccato i 45,36 centesimi al litro, il valore più alto dal 2014, con una crescita di quasi il 27% rispetto all’agosto del 2016. Un segnale importante per salvare le stalle italiane dopo l’obbligo di indicare in etichetta l’origine entrato in vigore in Italia sotto il pressing della Coldiretti lo scorso 19 aprile 2017”.
A pesare è la riduzione delle importazioni di olio di palma per uso alimentare che sono calate in Italia del 51% nei primi cinque mesi del 2017 con sei italiani su dieci che evitano di acquistare prodotti alimentari che contengono olio di palma, a conferma della diffidenza che sta portando un numero crescente di imprese ad escluderlo dalle proprie ricette, secondo elaborazioni Coldiretti su dati Eurispes.
La riscossa del burro – sottolinea la Coldiretti – è peraltro giustificata da recenti studi scientifici che hanno fatto cadere pregiudizi nei confronti di un prodotto che viene oggi percepito come più naturale e salutare con l’incremento della domanda di alcuni Paesi a partire dalla Cina. Ma i consumi procapite di burro – precisa la Coldiretti – sono aumentati nel 2016 dall’Australia (23%) al Canada (+7%) fino agli Stati Uniti (+2%) dove l’USDA prevede per quest’anno un aumento del consumo mondiale di burro del 3%.
Tra i maggiori consumatori mondiali c’ è la Nuova Zelanda con 6,13 chili seguita dall’ Unione Europea con 4,71 chili, ma livelli elevati si registrano anche in India con 3,91 chili e negli Stati Uniti con 2,63 chili. Al contrario – continua la Coldiretti – la produzione di burro in calo del 6% nei primi cinque mesi del 2017 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno in Europa dove si estende la carestia
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