Consiglio di Stato “salva” opere riqualificazione e protezione porto Marina Pisciotta

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Con sentenza n. 4600/2017, la Sezione VI del Consiglio di Stato ha respinto l’appello proposto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo avverso la decisione n. 2481/2015, con la quale la Sezione I del T.A.R. Campania-Salerno aveva già annullato il parere contrario espresso dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Salerno e Avellino in relazione all’accertamento di compatibilità paesaggistica delle opere marittime realizzate, nel 2008, senza il preventivo nulla osta paesaggistico, a nord-ovest del porto di Marina di Pisciotta.

Il Giudice di appello ha, così, concluso definitivamente l’articolata “querelle” avviata dall’ente locale cilentano, guidato dal Sindaco Ettore Liguori, per contestare l’illegittimità degli atti con i quali, nel 2013, l’organo periferico del Mi.B.A.C.T., in seguito ad una pregressa vertenza amministrativa conclusasi con sentenza n. 1926/2012, aveva negato l’ammissibilità a sanatoria degli interventi di salpamento delle preesistenti scogliere artificiali e di costruzione di un pennello a forma di “T” in massi naturali, con  la contigua barriera soffolta, intimandone lademolizione con il ripristino dello stato dei luoghi.

Con il parere contrario annullato dal T.A.R. Campania-Salerno, infatti, la locale Soprintendenza aveva definito negativamente il procedimento attivato per i lavori intrapresi originariamente sine titulo nell’ambito del bacino portuale pisciottano, inducendo l’Amministrazione Comunale a proporre il ricorso poi accolto con la sentenza n. 2481/2015, appellata dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo con l’impugnativa ora rigettata dal Consiglio di Stato.

Nel condividere le tesi del Comune di Pisciotta, difeso dagli avvocati Pasquale D’Angiolillo e Laura Clarizia, il supremo organo giurisdizionale amministrativo ha confermato l’operato del Tribunale Amministrativo Regionale, seppur con diverse motivazioni, riconoscendo che il paesaggio non va inteso come “una mera bellezza panoramica statica e di fatto immutabile o, il che è lo stesso, come il ritratto ideale di un paesaggio disgiunto dagli uomini che lo vivono”.

Come sottolinea l’avvocato Pasquale D’Angiolillo, “la decisione costituisce un precedente giurisprudenziale di particolare significatività per la disciplina dei procedimenti in materia di tutela paesaggistica. Il Consiglio di Stato, infatti, nel censurare il mancato ‘riassetto in autotutela della vicenda’ da parte del Ministero, ha ammesso la valutazione di compatibilità paesaggistica dell’intervento sulla base di tre presupposti fondamentali: la non assimilabilità ad un edificio dell’infrastruttura pubblica, intesa quale ‘opera di conformazione del paesaggio marittimo’ posta a salvaguardia e ripascimento delle costa e del centro abitato; il carattere manutentivo delle attività eseguite previa demolizione della preesistente scogliera di protezione del litorale; la sanabilità di un intervento, ai sensi dell’art. 167 D.Lgs. n. 42/2004, non dipendente dalla dimensione delle opere realizzate ma dalla relativa qualificazione funzionale”.

Peraltro, la pronuncia di seconde cure”, rimarca l’avvocato Laura Clarizia, “ha evidenziato come l’area soggetta a vincolo, pur con talune apprezzabili emergenze naturali, è pur sempre un paesaggio conformato e costruito dall’uomo nel tempo e necessariamente segue, in una con l’evoluzione tecnologica della difesa delle coste a tutela dell’incolumità pubblica e del territorio, le esigenze di quell’insediamento urbano, anche per il futuro”.

Nello specifico, il Giudice amministrativo di secondo grado ha sanzionato l’illegittimità del parere sfavorevole a suo tempo emesso dalla Soprintendenza salernitana rilevando che la statuizione del T.A.R., pur accogliendo il ricorso presentato dal Comune di Pisciotta per altre ragioni, non ne aveva vagliato adeguatamente tutte le censure, in ragione:

  • dell’assenza di un vero beneficio alla tutela del contesto paesaggistico derivante dalla rimessione in pristino, a causa di una lettura non evolutiva delle norme di salvaguardia a fronte di opere pubbliche utili se non necessitate, oltreché realizzate in conformità alle relazioni tecniche che ne giustificarono a suo tempo la realizzazione;
  • dell’irragionevolezza della soluzione ripristinatoria mera, quando la tutela del paesaggio non prescinde mai da un’adeguata e razionale gestione del bene giuridico protetto;
  • dell’omessa valutazione che, nel caso in esame, l’opera non è un nuovo molo, ma la sostituzione delle vecchie, deteriorate ed inefficaci opere di difesa costiera, a prima vista senza ampliamento di volumi o superfici, come evincesi dalla relazione tecnica allegata all’istanza del Comune per la sanatoria, per cui al più trattasi di manutenzione straordinaria senza incrementi;
  • dell’omessa statuizione in coerenza con i premessi concetti secondo i quali tale opera non creerebbe un maggior carico urbanistico;
  • dell’omessa motivazione per cui l’opera stessa genererebbe nuovi volumi o superfici urbanisticamente rilevanti”.

Nel definire il contenzioso, il Consiglio di Stato ha anche evidenziato la necessità del “doveroso coordinamento tra le esigenze d’incolumità collettiva e di salvaguardia costiera, sottese al predetto pennello e quelle proprie della tutela del paesaggio”, onde “pervenire ad un rapido ed equilibrato riassetto complessivo, che non crei situazioni, anche potenziali, di pericolo all’igiene ed all’incolumità pubblica nei confronti della collettività locale”.

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