Di vertice in vertice il pacchetto finanziario si allontana (di Cosimo Risi)

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Chi si aspettava conclusioni decisive dal Consiglio europeo di ottobre è destinato a rimanere in attesa. Un vertice di transizione verso il successivo, alla moda un poco frustra dell’Unione europea d’un tempo che trovava l’accordo sul disaccordo. In discussione è il pacchetto che va sotto il nome pomposo di Next Generation EU, la cui urgenza pare inversamente proporzionale alla sua applicazione.

I termini della questione sono oltremodo complessi. Dopo l’iniziativa franco – tedesca, la conferenza stampa da remoto di Macron e Merkel, la macchina europea si mette in moto sotto la guida di Ursula von der Leyen, la quale profitta della favorevole coincidenza della presidenza tedesca del Consiglio, l’ultima della Cancelliera prima dell’annunciato ritiro dalla scena politica.

Altra favorevole coincidenza è il trentennio della riunificazione (ottobre 1990), che i leader europei salutano come un successo dopo le riserve dell’epoca. Utile rileggere le dichiarazioni di Andreotti, Thatcher, Mitterrand e, per converso, di Genscher, Kohl e Gorbacev, l’ultimo dei Grandi ancora in vita e in grado di testimoniare lo spirito del tempo.

Il pacchetto dovrebbe entrare in vigore con il 2021 assieme al QFP, il quadro finanziario pluriennale su cui la Commissione è chiamata ad appoggiare la sottoscrizione del debito atto ad alimentare le spese.

Le resistenze degli stati membri frugali trovano nuovo e insperato alimento nella condizione che si vorrebbe porre: quella della legalità, ovvero del rispetto dello stato di diritto presso i partner che ne hanno una concezione vaga se non contrastante con i principi europei. Gli indiziati sono Polonia e Ungheria con il seguito interessato del Gruppo di Visegrad. Lo stesso che fece deragliare il piano Juncker per la riallocazione volontaria dei migranti approdati nell’Unione via Grecia e Italia.

I Visegrad si oppongono alla nuova condizionalità inalberando la difesa della sovranità nazionale: a casa nostra facciamo quello che ci pare, abbiamo il conforto dell’elettorato, l’Unione ci assegni le politiche strutturali senza battere ciglio. Il contrario vogliono i frugali: col sostegno del Parlamento europeo, si riservano il diritto d’ingerenza negli affari domestici altrui quando siano violati i principi comuni. E che le violazioni ci siano, o almeno si fiuti il fumus boni iuris per dirla coi penalisti, è provato dalle indagini della Commissione ex pertinente articolo del Trattato.

Siamo nello stallo. Se Visegrad blocca Next Generation in omaggio alla sovranità nazionale e se, d’altro canto, i frugali lo bloccano per il diritto d’ingerenza, l’indecisione domina i vertici e lancia un cattivo segnale ai Parlamenti nazionali che saranno chiamati a ratificare l’accordo finale.

E’ ragionevole pensare che il pacchetto vedrà la luce a seguito di una nuova defatigante trattativa, comunque in ritardo rispetto alle promesse di Ursula ed alle esigenze degli stati membri più esposti sul fronte della pandemia.

Il che porta la questione nel vivo dell’agone politico italiano. Se il Recovery Fund tarda, mentre noi abbiamo bisogno di molti soldi e subito, il MES è il salvagente da afferrare in attesa della scialuppa di salvataggio. Ma il MES divide la maggioranza e il governo esita a reclamarlo nel timore di spaccarla irrimediabilmente. Ci troviamo fra le onde procellose e non sappiamo come venirne fuori senza affogare.

Possiamo contare sulla determinazione di Angela Merkel che tiene a firmare il risultato storico del rilancio europeo. E dire che tempo addietro la Germania e la sua Cancelliera erano gli interlocutori più temuti dall’opinione pubblica italiana al punto che i media rispolveravano il repertorio anti-tedesco. Ora sono la nostra salvezza. Insomma: mai dire mai.

di Cosimo Risi

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