Omicidio di Ravello: Cassazione conferma condanna a Enza Dipino

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Respinto dalla Corte di Cassazione il ricorso presentato dai legali di Enza Dipino avverso la sentenza della II Corte d’Assise d’Apello di Salerno, che in un’udienza lampo lo scorso 16 dicembre 2019 l’aveva condannata a 14 anni e 2 mesi di reclusione per l’omicidio – in concorso con Giuseppe Lima, condannato a 13 anni e 4 mesi – della compagna, Patrizia Attruia.

La vicenda di Enza Dipino è di quelle che presumibilmente finiranno nei libri di Storia del Diritto Penale Italiano Contempraneo. La donna-bambina, come talvolta è stata definita a causa sia della corportura minuta che, specialmente, della propria semplicità ed ingenuità, che si trovò coinvolta in una situazione smisuratamente più grande di lei allorquando fu travolta dagli eventi che si verificarono nella tranquilla contrada di San Cosma, a Ravello, tra il 25 ed il 27 marzo del 2015: le note 40 ore che intecorsero tra il decesso della vittima e l’arrivo delle forze dell’ordine allertate dal funzionario comunale Nicola Amato che pochi minuti prima aveva ricevuto una telefonata da Giuseppe Lima che lo metteva al corrente che Patrizia Attruia era morta.

Fu in quel momento, sul pianerottolo di casa, che Enza determinò inconsapevolmente il proprio destino in questa vicenda, allorquando alle richieste degli inquirenti riguardo all’accaduto Enza rispose di essere stata lei -da sola- ad uccidere l’Attruia per futili motivi, come poi precisò in serata.

Questa confessione, assieme ad alcuni segni di colluttazione presenti sul proprio corpo, convinsero gli investigatori ad aver risolto prontamente “il caso”, sebbene la rivendicata totale estraneità al delitto protestata dal Lima fosse tutt’altro che convincente.

Seguirono comunque ulteriori accertamenti che portarono con certezza al coinvolgimento dell’uomo, allorquando fu evidente che era impossibile che la minuta Enza avesse da sola potuto riporre il corpo della vittima in un’angusta cassapanca. Anche i traffici telefonici intercorsi in quelle 40 ore militarono a favore della tesi che l’uomo avesse fatto di tutto per cercare di precostituirsi un alibi, ma senza apparente successo, dato che fu comunque inquisito, sebbene solamente per favoreggiamento dell’occultamento di cadavere.

Ricostruzione che però non convinse il Giudice dell’Udienza Preliminare, che visti gli esiti delle indagini prodotte dalla difesa di Enza Dipino – che dal carcere proclamava la propria innocenza, spiegando di essere stata costretta dall’uomo ad autoaccusarsi del delitto dietro minaccia di morte- ritenne poco convincente la ricostruzione degli inquirenti che pretendevano di aver risolto il problema della disparità di forze tra Enza e Patrizia grazie ad una occulta somministrazione di un calmante che aveva condotto la vittima ad un stato cosiddetto onirico (vigile a sufficienza per reagire, ma senza la forza necessaria per sottrarsi all’aggresione di una persona minuta). Ed infatti, come fu poi confermato dai periti nominati dalla Corte d’Assise: la quantità di benziazepina (questo il tipo di farmaco rinvenuta nel corpo della vittima) era assolutamente ricompresa nel range terapeutico; il farmaco non era quello che gli inquirenti affermavano di aver visto acquistato da Enza Dipino nella sfortunata -perchè subito autodistruttasi- filmato delle telecamere di una farmacia di Amalfi; Patrizia non era affatto morta per strangolamento, bensì per una patologia neurologica -sconosciuta alla stessa vittima- che aveva provocato un arresto cardiaco durante la colluttazione mortale; i colpi portati alla vittima non potevano essere opera – o solamente opera- della sola Dipino; l’uomo aveva precedenti specifici riguardo a maltrattamenti nei confronti della moglie; durante la presenza dell’uomo nella casa della Dipino, Ella stessa era stata vittima di violenze da parte del Lima.

Fu sulla scorta di tali elementi scaturenti dal processo contro Enza Dipino che gli inquirenti dovetterofermare anche il Lima con l’accusa di omicidio volontario in concorso con la stessa Dipino. Un delitto a quasto punto dalla motivazione debole – delitto d’impeto, fu definito – che vedeva coinvolta la Dipino solo come attore eventuale, dato che il Lima non aveva certo bisogno dell’ausilio della minuta Dipino per percuotere l’Attruia causandone la morte per via della patologia sino ad allora ignota a tutti. Ed è qui che la vicenda di Enza Dipino oltre che tragica, inizia addirittura ad essere grottesca, dato che nessun elemento certo collega Enza all’azione mortale, residuando solo elementi corcostanziali: la Sua presenza in casa al momento dell’aggressione; il fatto che non abbia chiesto aiuto; i segni di una colluttazione, quantunque subita, più che provocata; la confessione orginaria.

Elementi che in primo grado furono ritenuti sufficienti a condannarla in modo pieno; che in secondo grado -dopo che la stessa accusa (ma in questo caso nella figura della Procura Generale) sua sponte richiese il riconoscimento delle attenuanti generiche – furono ritenuti idonei a derubricare la partecipazione a minima, cosa poi ancora cassata per insufficiente motivazione da una prima sentenza di Cassazione; fu ancora, successivamentedel dicembre scorso la seconda sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Salerno a stabilire che la responsabilità fosse piena ma con attenuanti (sentenza basata sempre sugli stessi elementi con cui le due sentenze di merito aveva in opposizione l’un con l’altra stabilito dapprima uan dura colpevolezaz piena e poi che la responsabilità fosse minima ed attenuata).

Tale ultima sentenza di merito è stata poi confermata dalla recente seconda revisione della Cassazione che non ha ravvisato in essa errori di legittimità (la cassazioen non piò entrare nel merito della quastione)… ma senza che abbia però potuto valutare l’importante elemento che nel frattempo era intervenuto: la Confessione che Giuseppe Lima aveva reso nel proprio procedimento di secondo grado e che quei giudici hanno ritenuto essere veritiera – tant’è che gli ha fruttato un sostanzioso sconto di pena – e nella quale l’uomo ha reso una sintetica ma precisa versione degli eventi, per i quali Enza non ha alcun ruolo se non di iniziale vittima di un’aggressione che nulla aveva a che fare con la successiva colluttazione mortale avutasi solamente tra il Lima e l’Attruia.

E’ a questo punto che si è consumato un dramma nel dramma: una persona che nessun elemento certo ha dimostrato di essere veramente colpevole -tant’è che i giudizi di merito sono stati quanto mai ondivaghi- langue in galera in base ad una condanna definitiva, mentre un nuovo e già valutato come veritiero ed attendibe elemento dimostra che è invece innocente.

E’ al cospetto di tale situazione, che ripugna alla coscienza di chiunque abbia ancora convinzione che vi possa essere giustizia, che si preannuncia la richiesta di revisione del processo di questa sfortunata donna-bambina.

Fonte Il Vescovado

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