Per una società civile vigile e non silente (di Giuseppe Fauceglia)

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Ho avuto modo, recentemente, di leggere il bel libro di Daron Acemoglu e James Robinson, “La strettoia.

Come le nazioni possono essere libere”, pubblicato in italiano dal Saggiatore.

Il tema, di straordinaria complessità, che ha suscitato il mio interesse riguarda il perché alcuni Stati prosperano economicamente, assicurando libertà, benessere e prosperità alla maggioranza della popolazione, mentre altri “falliscono” in questa missione.

Il problema viene dagli Autori analizzato sull’esame di casi storici, esplorati con cura e approfondimento: il progresso viene ritenuto il frutto di una società libera e di uno Stato che ne asseconda la libertà, la protegge e la estende.

In questa prospettiva, si ritiene che le condizioni che conducono alla libertà e al benessere dei cittadini sono due: uno Stato autorevole ma non dispotico e una società esigente nel reclamare la libertà.

In sostanza, solo una società civile capace di tenere testa ad un apparato statale, che potrebbe assumere una tendenza coercitiva, ovvero attenta e vigile affinché lo Stato non approfitti del suo maggior potere per opprimere i cittadini e per imporre un modello o un “pensiero unico”, magari a favore di élite, che inevitabilmente si formano anche in condizioni di democrazia politica.

Orbene, muovendo da queste riflessioni generali e passando a questioni più “terrene”, meraviglia molto il silenzio assordante che avvolge la società civile salernitana a fronte dei recenti episodi che vedono coinvolta, nel suo susseguirsi temporale, l’ amministrazione comunale.

Badate bene, qui non intendo assumere alcuna posizione sulla concreta esistenza delle ipotesi contestate dalla magistratura inquirente, che farà il  suo corso (confidiamo in breve tempo anche per la giudicante) per diradare o confermare le impostazioni accusatorie (del resto, anche in questo caso mi pare assolutamente importante affermare il principio costituzionale della presunzione di innocenza).

Intendo solo evidenziare che per decenni, la società civile salernitana (ammesso che esista !) ha inteso ignorare i molteplici segnali che hanno fatto della Città il regno incontrastato di una raccolta del consenso, avvenuto con strumenti nient’affatto coerenti e sintonici con una prospettiva democratica.

Nessuna voce di serio e fondato dissenso si è levata contro la progressiva imposizione di un “modello” tendente a marginalizzare ogni opinione contraria ad un “pensiero unico” invasivo e paralizzante.

I più si sono accodati al potere, alcuni profittando delle occasioni loro lautamente offerte, altri, semplicemente, rinunciando ad ogni critica, regredendo sulla strada di una progressiva marginalizzazione.

Senza  una società civile libera e consapevole non può esistere un potere pubblico, di qualsiasi natura, sia statuale che locale, che rinunci alla implicita tendenza ad assumere forme autoreferenziali o latamente dispotiche.

La tendenza, implicita in opposizioni deboli e incoerenti, di affidare la dinamica politica alle inchieste della magistratura reca in sé il germe di un pericolo abbandono della dialettica democratica.

Non mi spiego, allora, come può giustificarsi il silenzio a fronte delle programmate “Luci di Artista”, che, in un periodo di  costante crescita della pandemia da Covid-19, non avrà l’effetto sperato di un aiuto  al commercio del centro cittadino, ma solo quello di facilitare pericolosamente i contagi. Il silenzio, allora, configura una correità morale in scelte non avvedute e in sé pericolose.

Giuseppe Fauceglia

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  • Provando a fornire una mia modesta opinione sugli interrogativi proposti dal Prof., direi che ormai la coscienza collettiva sembra anestetizzata, insensibile a quello che accade nella società, rassegnata al ruolo di passivo spettatore degli avvenimenti che pure coinvolgono la sua esistenza, sdraiato in una cupa impotenza, consapevole che qualsiasi reazione sia inevitabilmente inutile, poichè destinata alla sua sicura inconsistenza, in quanto si trova di fronte un muro di gomma contro cui inutilmente cozza, senza poterlo smuoverlo di un millimetro. E’ un blocco di potere solido e incrollabile. Anche il giornalismo di inchiesta non scalfisce più il potere, nascosto dietro la fitta cortina di opacità impenetrabile, intrecci inestricabili, vicoli ciechi. La magistratura, anch’essa spesso contaminata, stenta a trovare l’abbrivio alle inchieste, costretta ad operare, si trova di fronte a norme di legge che di fatto spuntano le armi all’accertamento della verità. Molto suggestivo mi è parso sull’argomento proposto, questo passo che ho letto:
    “Il principio della rana bollita è un principio metaforico raccontato dal filosofo, e anarchico statunitense Noam Chomsky, per descrivere la pessima capacità dell’essere umano moderno: ovvero la capacità di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi. Viviamo, infatti, in una società nella quale il popolo è letteralmente schiacciato dall’economia, dalla politica, dai media, e accetta passivamente il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori e dell’etica che derivano da questo continuo subire, in silenzio, senza mai reagire. Il principio della rana bollita ci dimostra che quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta, da diventare pertanto invisibile, sfugge alla coscienza e non suscita, per la maggior parte dell’umanità, nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta. Questo accade perché il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei media, satura i cervelli che non riescono più a discernere, quindi a pensare con la loro testa, e diventano alienati di un sistema che li governa a proprio piacimento. Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subendo una lenta deriva alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose, che ci avrebbero fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate e – oggi – ci disturbano solo leggermente o lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone.”

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