I trenta anni dal collasso dell’URSS: la crisi in Kazakistan (di Cosimo Risi)

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I trenta anni dal collasso dell’URSS (1991) rianimano il dibattito sul periodo brevissimo che coincide con la traiettoria politica di Mikhail Gorbacev, ultimo Segretario del PCUS e ultimo Presidente dell’Unione Sovietica.

Furono i sei anni (1985-1991) che cambiarono l’Europa e le relazioni internazionali. La crisi ucraina prima e la crisi kazaka ora sono la propagazione di quella onda lunga.

In vari  scritti e interviste, l’ultimo Presidente sovietico spiega i fatti degli anni Ottanta–Novanta e la nascita del “Sistema Putin”. Spiega pure che le spinte autonomistiche dell’Ucraina risalgono alla Presidenza di Leonid Markovic Kravciuk, già Segretario del Partito comunista di Ucraina e poi Primo Presidente dell’Ucraina dal 1991 al 1994.

Kravciuk fu, con il russo Boris Eltsin,  il responsabile del fallimento del Patto che avrebbe dovuto rinnovare l’Unione Sovietica in forme democratiche e di ampia autonomia per le Repubbliche, ma conservando a Mosca la responsabilità della politica estera e di difesa nonché il sistema finanziario unico.

L’opposizione di Kravciuk a qualsiasi interferenza del centro non fece decollare il progetto. Nell’incontro segreto di Belovez (1991), i secessionisti ripiegarono sul patto istitutivo della Comunità  Stati Indipendenti.

Il Presidente kazako Nursultan Nazarbayev era allineato inizialmente alla posizione di Gorbacev, assecondò lo scioglimento dell’URSS quando il processo gli parve irreversibile. Da allora Nazarbayev è onorato come padre della patria e condiziona la vita politica in Kazakistan.

Gorbacev scrive del gentlemen’s agreement concluso con George Bush a non estendere la NATO fino alle porte dell’URSS. In cambio l’URSS avrebbe consentito che la Germania unificata aderisse all’Alleanza. Fu la parte più conservatrice dell’Amministrazione americana – Gorbacev indica Richard Cheney e Robert Gates, rispettivamente  il Segretario alla Difesa e il Direttore CIA – a convincere il Presidente a puntare su Boris Eltsin.

La strategia di Eltsin era funzionale agli interessi americani più della linea di Gorbacev, che mirava “ad ammorbidire il socialismo di Stato e a realizzare il passaggio a un’economia di mercato regolata”.

E’ da quegli ambienti di Washington – conclude Gorbacev – che parte “l’interpretazione della fine della guerra fredda come vittoria degli Stati Uniti e dell’Ovest sull’Est e l’Unione Sovietica”.

La vittoria di una Parte sull’altra, e non il riconoscimento di un processo maturato all’interno del sistema che si voleva sconfitto, ha prodotto l’effetto di un maggiore disordine internazionale.

Il soggetto Russia, meno incisivo sulla scena del soggetto URSS, non ha potuto  giocare il ruolo costruttivo che si proponeva la breve epoca della perestrojka.

Vladimir Putin, alla sua maniera, cerca di porre rimedio al disordine orientale. Annette la Crimea alla Russia, dispiega le truppe al confine con l’Ucraina per “proteggere” le aree russofone.

Non nasconde il rammarico per la perdita di peso della Russia conseguente allo scioglimento dell’URSS e, insieme, l’ambizione di ripristinare il controllo di Mosca sulle vicende dell’ex Impero sovietico.

Risponde immediatamente all’appello del Presidente kazako Tokayev ed invia 3000 militari a suo sostegno per reprimere le rivolte di piazza e consolidare il trasferimento di poteri dal deposto, ma ancora influente, ex Presidente Nazarbayev.

Del disordine orientale, il 10 gennaio a Ginevra, Joe Biden tratta con Vladimir Putin. Il momento non è propizio agli Stati Uniti. E’ ancora aperta la ferita dell’assalto a Capitol Hill.

La popolarità di Biden crolla nei sondaggi, mentre cresce la voglia di rivincita di Trump. Biden si pone comunque la missione di indicare le linee rosse che il Cremlino non deve varcare, altrimenti scattano le reazioni dell’Occidente.

Il rapporto con il Kazakistan riguarda l’Italia da vicino. Fra gli stati UE siamo il primo partner commerciale di quel paese. Energie tradizionali e rinnovabili, agroalimentare, settori vari: l’interscambio superava il miliardo di euro prima del COVID per ridursi con la pandemia. Le prospettive sono al rialzo.

di Cosimo Risi

1 Commento

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  • Concordo con l’amb. Risi sulla carenza di saggezza e lungimiranza da parte occidentale in quel delicato momento storico: 1990-’91. Si è preferito, una volta di più, il “divide et impera” (riferito all’ormai ex-URSS) alla costruzione di un “nuovo” rapporto, su un piano se possibile meno inclinato, con l’antico nemico, manifestamente prostrato, ma non necessariamente sconfitto. Il revanscismo russo avrebbe atteso il momento opportuno per riemergere e presentarci il suo cahier de doleance. L’entrata in scena – a quei tempi imprevedibile – di una Cina con ambizioni di leadership mondiale ha complicato ulteriormente il quadro, mettendo definitivamente sulla difensiva gli USA sull’Indo-Pacifico; fornendo una spalla alla Russia di Putin; ma facendo riflettere pure quest’ultimo su chi avrebbe avuto come ingombrante vicino in Asia. Il menage à trois è sempre un problema! Quanto alla crisi kazaka, sarà pure figlia di quei lontani avvenimenti, ma né più né meno di quanto tutti noi siamo discendenti da Adamo e Eva!

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