Mediterraneo: mare di scorrerie e traffici – prima parte (di Cosimo Risi)

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L’immagine più diffusa delle scorrerie è legata ai romanzi di Robert Louis Stevenson e Emilio Salgàri. In tempi recenti al cinematografico Pirata dei Caraibi interpretato da Johnny Depp, prima che egli stesso divenisse bersaglio di scorrerie giudiziarie.

I giovani di una certa epoca seguivano il percorso di formazione con la lettura di due scritti simbolici, oggi si direbbero iconici: Il Corsaro nero e La Tigre della Malesia. Il primo ambientato nel Mare dei Caraibi, il secondo nell’Indo-Pacifico oggi agli onori della cronaca geo-strategica.

L’autore, quell’Emilio Salgàri sedicente Comandante, aveva un diploma nautico e praticato il cabotaggio, non la navigazione d’altura, fra l’Adriatico e il Mare Ligure senza mai attraversare Suez né Gibilterra. Il suo mare di riferimento era il Mediterraneo, lo proiettava in acque lontane, ricostruite compulsando gli atlanti nelle biblioteche di Torino, la capitale interna di un Piemonte interno.

Il mare reale della vicina Liguria diventava il mare immaginario di corsari gentiluomini e pirati in lotta per la libertà dall’oppressione britannica. Sir James Brooke, il Rajah bianco di Sarawak, il magnifico Adolfo Celi della serie televisiva, era il nemico perfetto di Sandokan – Kabir Bedi:  l’anticipazione della perfida Albione che, nel XX secolo, nega l’Impero all’Italietta dei Savoia.

A Stevenson ed alla sua Isola del tesoro s’ispira Hugo Pratt. A differenza di Salgàri,  Pratt ha navigato davvero. Fra i suoi viaggi e quelli di Corto Maltese ha disegnato una conturbante mappa del mondo. Corto conosce  lingue e usi di ogni dove. Con il britannico distacco di chi è originario della britannica Malta, si trova a suo agio sia a bordo di una canoa nei Caraibi che di una gondola a Venezia. Pratt abitava a Malamocco, all’estremità del Lido, anche se si ritirò nell’inevitabile Svizzera del Lago Lemano. Una collocazione perfetta dopo  una vita tumultuosa.

Il denominatore comune alle scorrerie letterarie è dato dalle “avventure in terre lontane ed esotiche e la sostanziale simpatia nutrita dal lettore o spettatore nei confronti di personaggi di queste opere, quasi sempre fuorilegge, ma spesso pure paladini della giustizia, seppur con tendenze anarcoide e ribellistiche.” (Jean Paul de Jorio, La pirateria marittima, Napoli, 2019).

Il fenomeno della pirateria è stato a lungo endemico nel Mediterraneo ed ha interessato il nostro Mezzogiorno. Ora è attivo in altre aree del pianeta a noi contigue: si pensi al Golfo di Guinea e al Corno d’Africa. Oggi come allora i protagonisti delle scorrerie sono di origine islamica e terrorizzano  parte dell’Africa e dell’Oceano Indiano.

Sono pirati ideologizzati. L’integralismo religioso si aggiunge allo scopo di lucro alla base della depredazione dei navigli. Gli assalti ai mercantili rientrano nella lotta agli infedeli, una parte dei proventi finanzia il jihad a livello globale. E’ innegabile “la similitudine che lega gli odierni “predoni del mare” ai loro antenati delle reggenze barbaresche dell’Africa settentrionale, le fer de lance dell’offensiva ottomana contro la cristianità” (Ivi).

Un filo comune lega d’altronde le politiche del Viceregno spagnolo di Napoli ai provvedimenti dell’Unione europea. La difficoltà nel fronteggiare il fenomeno valeva allora e vale ora. La lotta contro questi communes hostes omnium è comune e duratura.

Il Mediterraneo è un mare chiuso con sbocchi a est verso il Mar Nero, a sud verso il Mar Rosso, a est verso l’Atlantico. E già gli aggettivi “nero e rosso” rievocano la serie dei corsari di Salgàri. Il riferimento è probabilmente casuale ma ha il suo fascino.

Il Mar Nero è il campo di battaglia fra Russia e Ucraina, con la Turchia ad arbitrare la contesa dai Dardanelli. Il Mar Rosso apre la via al Golfo, che ciascuna sponda qualifica con il proprio nome: Arabico o Persico. La prima è la rotta dei cereali, la seconda del petrolio.

In epoca di abbondanza l’attenzione era volta agli idrocarburi, in epoca di carestia ci preoccupiamo della fame da penuria di cereali. La crisi alimentare colpisce l’Africa centrale e settentrionale, si riflette sui flussi migratori. Complice la bonaccia estiva, questi crescono in maniera significativa.

Nel periodo gennaio – maggio 2022 gli sbarchi in Italia sono aumentati del 40% rispetto allo stesso periodo 2021: 21.193 contro 15.195. I paesi di partenza sono: Libia 11.986, Tunisia 4.107, Turchia  4.414. Le nazionalità vedono: 3975 Bangla Desh, 3713 Egitto, 2596 Tunisia, 2299 Afghanistan, 1419 Siria. Ad eccezione di Afghanistan e Siria, per cui si può configurare la categoria di profughi da guerre, si tratta in maggioranza di  migranti economici, non eleggibili all’accoglienza obbligata e passibili di rimpatri. Il porto  più gettonato resta Lampedusa.

I profughi ucraini, per una sorta di communis opinio, rientrano in una categoria a parte. Degli oltre 5 milioni usciti dal paese, sarebbero 120.000 quelli riparati in Italia. Piccola cifra rispetto ai numeri di Polonia e Romania. Il che ha cambiato l’approccio del Gruppo di Visegrad alla politica migratoria europea. Prima negavano la solidarietà agli stati membri di prima accoglienza (Grecia, Italia, Spagna), ora cercano quella di tutti.

Le guerre non si combattono contro il nemico ma contro l’umanità, lasciano almeno una lezione da imparare.

di Cosimo Risi

 

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