Quando si dimentica la storia: la vicenda del museo dello sbarco (di G. Fauceglia)

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Non basta la memoria di pietra custodita in monumenti spesso abbandonati all’incuria per rendere vivo ed ancora attuale lo sbarco degli alleati tra Paestum e Salerno del 9 settembre 1943 (la c.d. operazione Avalanche); così come non è sufficiente ammutolirsi nella pietà di fronte alle croci del Cimitero di guerra di Bellizzi, che ricordano il sacrificio di tanti giovani caduti sulle spiagge del nostro litorale.

Sono convinto che la memoria di un popolo vada coltivata con costanza nel tempo, e non già con iniziative episodiche, la cui organizzazione spesso è affidata a chi non ha neppure la conoscenza e la consapevolezza della “storia”: sono, invece, necessarie strutture che consentano l’osmosi tra conoscenza e profittabilità costante nell’accesso, in particolare per le scolaresche di ogni ordine e grado.

Quest’anno ricorrono ottanti anni non solo dallo sbarco, da cui prese inizio la liberazione militare della penisola dall’oppressione nazi-fascista, ma pure delle gloriose Quattro Giornate di Napoli, quella rivolta di popolo che, tra il 27 e il 30 settembre del 1943, costrinse le truppe tedesche ad abbandonare la città (e ciò anche a seguito di importanti scelte strategiche che non rendevano possibile la difesa dei tedeschi nel territorio napoletano e nell’agro casertano, tanto che le truppe si attestarono a Montecassino).

Leggo che a Napoli, anche con il sostegno degli enti locali e della Regione, sono previste per l’ottantesimo anniversario di questo evento una serie di iniziative con la presentazione di libri e proiezioni di film, ma soprattutto si discute, e non da oggi, del progetto di un museo che raccolga documenti e materiali riguardanti quella rivoluzione di popolo, al fine proprio di preservarne la memoria non solo ristretta nel dì della ricorrenza.

E a Salerno?  Bisogna ricordare che in città esiste un “Museo dello Sbarco” in via Generale Clark, che sopravvive grazie allo sforzo meritorio del prof. Nicola Oddati, apprezzato storico dell’Università degli Studi di Salerno, che fu già “motore organizzativo” dell’importante evento di “Salerno Capitale”.

Si tratta di una struttura stabile, che certamente andrebbe implementata e posta in rete con altre iniziative nazionali e regionali, in cui, anche grazie all’apporto del “Parco della Memoria della Campania”, sono presenti ben 200 filmati e documentari, centinaia di fotografie dello sbarco, mezzi militari alleati e tedeschi.

Ora, invece di valorizzare e di sostenere l’iniziativa, che potrebbe assumere una rilevante centralità anche nel percorso formativo delle giovani generazioni, le istituzioni pubbliche – in questa città ipnotizzata nel sonno della ragione e finanche della speranza – sembrano orientate a celebrarne il de profundis.

Un’iniziativa così rilevante e che potrebbe conoscere ancora un notevole sviluppo, non può essere solo affidata allo sforzo meritorio di un singolo storico, essa va invece sostenuta dalla Regione, nei cui locali è collocato il Museo, e dal Comune, magari anche con la costituzione di una società, che preveda l’ingresso dell’Università, della stessa Regione, degli altri enti locali costieri interessati e finanche di associazioni, alla quale affidarne la gestione e, perché no, anche la prospettiva di una certa redditività dell’iniziativa.

A fronte di qualche, purtroppo non raro, sperpero di risorse pubbliche, mi pare che questa opzione rafforzi non solo la identità storica di una Città e di un territorio, ma soprattutto resti idonea a rappresentare la palestra di quella memoria civica che abbiamo il dovere di far nascere e sviluppare soprattutto nelle giovani generazioni.

Giuseppe Fauceglia 

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