La insostenibile leggerezza del cabaret (di Giuseppe Fauceglia)

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Che la politica da avanspettacolo sia dannosa per la soluzione dei problemi, oltre che per la democrazia, mi pare ormai un dato acquisito, specie da parte di coloro che in questo mondo conservano ancora un minimo di raziocinio. Affrontare un problema assai delicato, come quello della riforma dell’accesso alla facoltà di medicina, sull’onda di battute che strizzano l’occhio ad una certa volgarità mediatica (utilizzo l’espressione nel senso più nobile del termine) mi pare assolutamente sbagliato, proprio in relazione alla necessaria soluzione del problema.

Posto che nessuno può condividere la vera e propria “giostra” che viene immaginata da presunti esperti nei quiz per l’accesso alla facoltà di medicina, qualsiasi politico serio, rappresentante delle Istituzioni (utilizzo non a caso la “maiuscola”), dovrebbe soppesare il fondamento e le conseguenze delle proprie affermazioni.

Il venerdì della scorsa settimana in un convegno barese ho avuto l’occasione di ascoltare l’intervento sul tema del Rettore dell’Università, prof. Stefano Bronzini, il quale ha posto al centro della sua riflessione il profilo della “sostenibilità” del sistema sanitario a fronte della apertura indiscriminata dell’accesso alle facoltà di medicina.

In sostanza, riassumendo l’approfondita analisi del Rettore, è emerso che se pure dovesse realizzarsi la liberalizzazione dell’accesso resterebbero poi irrisolte le problematiche dell’ammissione alle scuole di specializzazione, dell’organizzazione del servizio sanitario, con riferimento alle carenze delle strutture ospedaliere e della medicina sul territorio, in uno alla ormai inarrestabile “fuga” dei medici dal servizio  pubblico, per ragioni che non possono essere affrontate in questa riflessione, perché comportanti analisi di più ampio respiro.

Insomma, sta emergendo nel dibattito tra i “tecnici” una soluzione diversa da quella semplicisticamente affrontata dal Governatore De Luca (con frasi ad effetto, buone soltanto per attrarre il consenso di “pancia”), il quale, tra l’altro, da circa un decennio ha avuto nelle proprie mani le sorti della sanità campana (con i risultati che tutti possono “apprezzare”).

De Luca, al quale pure non difettano capacità di analisi su altri temi, ha affermato che “ogni anno si fa una selezione per l’ingresso alla facoltà di Medicina in Italia con un sistema camorristico, attorno a cui girano centinaia di milioni spesi dalle famiglie per la formazione dei figli”, parlando di “un sistema camorristico sull’esame ma tutti stanno zitti, nessuno risponde, perché questa è una società di camorra in doppio petto e di corporazioni”.

Orbene, l’utilizzo ripetuto del termine “camorristico”, che implica un sistema “associativo” con finalità “criminali”, imporrebbe non già denunce generiche e incontrollabili, ma la chiara esplicitazione e la conseguente esposizione di concreti comportamenti assumibili in altrettante ipotesi di reato: se il dichiarante ha conoscenza di fenomeni deviati, ha l’obbligo, proprio in ragione delle funzioni istituzionali svolte, di denunciarli alle competenti Autorità.

Nel tentativo di riportare il dibattito fuori dalle secche del cabaret mediatico, occorre riflettere sul contenuto dei quiz, pervenendo alla conclusione che questi devono necessariamente essere attinenti a materie che saranno oggetto della formazione dei futuri medici e non riguardare singolari domande sul “nulla” o sul “vuoto”, condite da risposte multiple di difficile comprensione, se non errate. Dappoi, qualsiasi riforma sull’accesso alla facoltà di medicina dovrebbe comportare la individuazione di un percorso formativo tecnico-scientifico, che dovrebbe muovere dalla istruzione secondaria e dalle sue diverse articolazioni, così delineando una “linea di continuità” nelle conoscenze (sia pure elementari), idonea, in quanto tale, a sorreggere la formazione dei giovani.

Dappoi, si dovrebbe riflettere sullo stesso percorso universitario: se si ammettono tutti, indiscriminatamente, alla facoltà di medicina, dovrebbero essere individuate quelle materie fondanti (penso, ad esempio, ad anatomia) per le quali il mancato superamento degli esami nel primo o nel secondo anno di medicina dovrebbe precludere il passaggio ad altre annualità o potrebbero consentire il trasferimento ad altre facoltà. Infine, una logica seria di programmazione negli accessi dovrebbe comportare la individuazione dei posti messi a disposizione dalle singole facoltà, magari utilizzando un metodo che assuma una mappatura delle esigenze concrete del servizio sanitario, avendo ben presente che i tempi richiesti per la formazione di un “medico” non coincidono sempre con la durata del corso di studi.

Si tratta di opzioni che, insieme ad altre, devono fondarsi su presupposti che non possono tradursi in battute buone per la tifoseria e dal non troppo vago sapore “populista”, ma che, invece, richiedono necessari approfondimenti, questi sì non dilatati o dispersi nel “tempo” delle “future” scelte politiche, considerate le condizioni in cui versa ormai la nostra sanità pubblica.

Giuseppe Fauceglia

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