Ancora sul ruolo dell’europa nel conflitto ucraino (di G. Fauceglia)

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La forza bellica è da sempre il primo strumento con cui il Cremlino dimostra a sé stesso, al popolo russo e al mondo di essere grande, proprio come amavano ripetere gli zar: “la Russia ha due grandi alleati, il suo esercito e la sua flotta”.

La Russia, però, proprio nel conflitto ucraino ha mostrato la sua facciata di cartapesta di superpotenza, maschera di una sua abissale fragilità.

La continuazione del conflitto è resa possibile solo dal numero elevato della popolazione, che consente a Putin di avere la sua “carne fresca per cannoni” (in maggior parte, poveri giovani delle zone più sperdute della Federazione, là dove il dissenso è impossibile), e dal continuo rifornimento di armi dall’Iran e dalla Cina. Non è di questo, però, che voglio discutere, quanto della posizione, che solo in astratto può definirsi coesa, assunta dai Paesi dell’Unione Europea.

La guerra ha fatto emergere le profonde divisioni tra la Vecchia Europa dell’Ovest e la Nuova Europa dell’Est: la causa principale è proprio l’aggressione russa, considerata come una minaccia esistenziale per i Paesi appartenenti all’ex blocco sovietico, che oggi assumono le posizioni più intransigenti. Non a caso, il perno della NATO è diventata la Polonia sul cui territorio staziona un numero crescente di forze militari, seguita dai Paesi baltici e dalla Bulgaria.

A ciò si aggiunge che i confini tra Ucraina e Federazione Russa non valgono per gli USA la terza guerra mondiale, posto che, da un lato, la scomparsa geopolitica della Russia finirebbe per mettere in seria discussione la stessa alleanza atlantica e, dall’altro, pesa la crescente tentazione isolazionista, che ormai caratterizza la politica americana, la quale finirà, come tendenza generale futura, per affidare alla sola Europa la difesa dei propri confini.

Anche in occasione di questo conflitto, il rito europeista celebra la coppia franco-tedesca, che in realtà non è mai esistita, mentre nel dibattito pubblico, tranne che per le analisi più specialistiche, viene del tutto trascurato il legame russo-germanico, che non pare essere stato spezzato neppure dalla guerra.

Si tratta di un’intesa invisibile consolidata da cinquant’ anni di dipendenza energetica della Germania nei confronti delle fonti russe (come dimostra la vicenda del Nord Stream e l’opposizione tedesca alla politica italiana di approvvigionamento verso i Paesi del Nord Africa). Non a caso, nei cenacoli della socialdemocrazia tedesca e dei suoi alleati, è stata improvvisamente riabilitato il postulato per cui la Russia è Europa, per storia, cultura e geografia.

E’ significativo che proprio nel 2022, Stefan Creuzberger abbia pubblicato un libro dal titolo “Il secolo germano-russo. Storia di una relazione speciale”, nel quale si offre un’originale interpretazione del Novecento, come manifestazione dell’immensa forza di attrazione che Germania e Russia hanno sprigionato nell’ordine internazionale, che ancora oggi, indipendentemente da tutti i processi di globalizzazione, è da questi Stati significativamente influenzato.

Si tratta di un legame storicamente consolidato che trova origine nella politica di Pietro il Grande, e di cui è stato dimostrazione anche il famigerato patto Molotov-Ribbentrop nel 1939. L’attuale Repubblica Tedesca, pur essendo integrata nella NATO, conserva pur sempre il riflesso pavloviano che impedisce di rompere con Mosca, in una meccanica di oscillazione geopolitica fra Est ed Ovest, che trova fondamento nella profondità della Kultur germanica.

A ciò bisogna aggiungere che finanche dopo trentaquattro anni dall’unificazione tedesca, la divisione tra Est ed Ovest della Germania è tutt’ora forte, sì che alcuni vertici degli Stati regionali dell’Est (penso a Michael Kretschmer, Presidente della Sassonia) ancora manifestano il loro nocciolo duro filorusso (del quale si fanno interpreti i partiti dell’estrema destra).

Ne resta dimostrazione attuale la ritrosia e i ritardi della Germania nel sostegno vero da dare all’Ucraina e il diniego, che non trova ragioni obiettive, nel fornire i missili di media-lunga gittata, necessari per la difesa delle inermi popolazioni ucraine.

Invero, della NATO e dei Paesi Europei, Zelens’kyi è deluso, ne lamenta dilazioni burocratiche, baruffe intestine, manifestazioni di incompatibilità culturali e geopolitiche. Le armi a Kiev sono arrivate a seguito di accordi bilaterali, frutto di intense battaglie, specie con i soci più importanti come i tedeschi, tanto che se non fosse stato per americani e britannici, i russi avrebbero già conquistato oltre la metà dell’Ucraina e non già solo una parte del Donbas.

Di certo, l’Ucraina dovrà affrontare problemi mai risolti che la guerra ha fatto dimenticare: la diffusa corruzione (anche le cancellerie occidentali si chiedono quanti armamenti siano stati sottratti e venduti sul mercato “nero” finanche alle milizie filorusse) e lo strapotere degli oligarchi, che hanno per decenni succhiato il sangue alla popolazione ucraina ed ora non rinunciano a rientrare nella partita (come Pietro Porosenko).

Di certo, però, non possiamo dimenticare che l’Ucraina ha subito un’aggressione di un Paese che intende minacciare la sua stessa integrità territoriale e porre in discussione le scelte di democrazia e di libertà di un popolo, al quale va dato tutto il sostegno possibile, pur non rinunciando a soluzioni diplomatiche che, però, richiedono, pur sempre, l’adesione di Putin. Ma per l’Unione Europea il nuovo capitolo storico dell’aggressione russa apre nuovi scenari che impongono la fine degli egoismi nazionali e scelte comuni, con buona pace di chi classifica il Vecchio Continente tra i reperti archeologici nel tanto conclamato secolo dell’Asia.

Giuseppe Fauceglia

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