Camorra: “Sandokan” si pente dopo 26 anni, il boss dei Casalesi sta collaborando

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Francesco Schiavone, noto come Sandokan e capo del clan dei Casalesi, dopo 26 anni sta collaborando con i magistrati. Sandokan, che si trova al carcere duro, fu arrestato nel 1998 e condannato all’ergastolo nel maxiprocesso Spartacus e per diversi delitti. Nel 2018 fu il figlio Nicola, il primo della famiglia, a pentirsi e a collaborare con la giustizia.

Nel 2021, anche il secondo figlio Walter decise di collaborare. Restano in carcere gli altri figli Emanuele Libero, che uscirà di cella ad agosto prossimo, e Carmine, mentre la moglie di Sandokan, Giuseppina Nappa, non è a Casal di Principe.

In questi giorni le forze dell’ordine si sono recate proprio a Casal di Principe per proporre ai parenti del capoclan, tra cui il figlio Ivanhoe, di entrare nel programma di protezione, a conferma della volontà di Sandokan di collaborare con la Dda di Napoli.

“Sandokan ha un tumore”, ma sono false voci per trasferirlo

Un espediente per giustificare il suo trasferimento dal carcere di Parma, dove era al 41bis, a quello de L’Aquila, dove ha iniziato a collaborare. Così fonti investigative ben informate hanno spiegato la voce circolata negli ultimi giorni – anche tra gli addetti ai lavori – secondo la quale Francesco Schiavone fosse gravemente malato di tumore. Secondo l’indiscrezione, il capo dei Casalesi era affetto da una neoplasia, ma la realtà sarebbe diversa. C’erano state delle avvisaglie, tuttavia poi gli esami hanno smentito ogni patologia. La voce non è stata però smentita proprio per mantenere il più riservata possibile la sua scelta di collaborare e giustificare il trasferimento in un carcere dove quel tipo di patologie vengono curate e seguite. Alcuni dei familiari di Sandokan, sempre secondo le fonti, sono rimasti spiazzati da questa decisione e alcuni di loro si sarebbero rifiutati di abbandonare le loro abitazioni per essere trasferiti in una località protetta.

Custode di importanti segreti

 La decisione di Francesco Schiavone, custode di importanti segreti, potrebbe anche essere un messaggio destinato all’esterno, in particolare per non provare a far riorganizzare il clan. Secondo gli inquirenti la scelta del boss, detenuto a L’Aquila, potrebbe essere un modo per mettere una pietra tombale sulle aspirazioni di altri possibili successori.

Intrecci tra camorra e politica

 La collaborazione di Francesco Schiavone, è la speranza dei magistrati, potrebbe far luce su alcuni misteri irrisolti, come l’uccisione in Brasile nel 1988 del fondatore del clan Antonio Bardellino, o sugli intrecci tra camorra e politica.

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