Un’impresa sostenibile per la sicurezza del lavoro (di G. Fauceglia)

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I drammatici accadimenti di questi ultimi giorni, dopo la strage di Suviana, hanno posto al centro delle riflessioni la necessità di un’impresa sostenibile indirizzata alla sicurezza dei lavoratori. Il tema non è attuale, anzi le sue radici si ritrova già nel Codice di Camaldoli, quel documento di vari studiosi cattolici elaborato durante la crisi del regime fascista nel 1943, che ha prefigurato la successiva Costituzione economica, la quale ha trovato la sua sintesi proprio nell’art.41 della Carta Costituzionale.

Il testo elaborato dagli studiosi cattolici codificava i diritti e i doveri di un moderno stato sociale, tra i quali – tra gli altri – proprio la dignità del lavoro e la tutela della salute dei lavoratori, come racchiusi nel sintagma secondo cui la libertà di iniziativa economica, sia pure libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (ed ora, dopo la riforma con legge costituzionale n. 1/2022, alla salute e all’ambiente).

L’elaborazione cattolica, come nota Paolo Emilio Taviani, che fu una delle personalità più eminenti di quel periodo e dei successivi lavori della Costituente, nel suo “Politica a memoria d’uomo”, edito dal Mulino, segnò una netta rottura col corporativismo (anche cattolico), tracciando una discontinuità con la ideologia fatta propria dai regimi autoritari del tempo, così finendo per porsi in continuità con l’elaborazione teorica di Don Luigi Sturzo, secondo il quale una moderna Costituzione economica di uno Stato liberale e democratico avrebbe dovuto prendere le distanze da quelle soluzioni di policy, come la partecipazione diretta dei lavoratori ai profitti dell’impresa, sostenute da altre eminenti personalità (come Giuseppe Dossetti).

Si è trattato di un disegno che ha avuto un notevole impatto sulla stessa concezione dell’impresa, ma che con il tempo, soprattutto negli anni sessanta e settanta dello scorso secolo in dipendenza del boom economico e dei suoi effetti, si è andato diluendo, perdendo le note di quella programmazione per incentivi, premi e sanzioni, che pur nella prospettiva antistatalista, fatta propria dal Codice di Camaldoli e dalla Costituzione, aveva rappresentato il “cuore” del cattolicesimo democratico.

Le continue morti sul lavoro e gli accadimenti tragici di questi ultimi giorni, però, ripropongono l’urgenza di una nuova “concezione” dell’impresa e soprattutto di presidi più intensi ed efficaci per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, ciò richiedendo un intervento dello Stato in termini di più efficienti strutture amministrative ed efficacia dei controlli preventivi, nonché di predisposizione di assetti organizzativi adeguati dell’impresa, finalizzati anche alla tutela dei lavoratori.

Per pervenire a questi risultati non è, però, possibile attardarsi su mere e contingenti dispute politiche, frutto di quella continua ma vana contrapposizione che ormai caratterizza ogni discussione nel nostro Paese, richiedendo, invece, una elaborazione di progetto più complessivo che non può misurarsi solo sulla disciplina dei subappalti, essendo il fenomeno, utilizzato specie nelle opere pubbliche, un dato non eliminabile perché coerente con le caratteristiche del moderno atteggiarsi del fenomeno produttivo.

Ciò non significa negare che una disciplina più attenta alle qualità e caratteristiche dei subappaltatori non resti necessaria, ma questo non può certamente comportare un preteso automatismo sui presidi di tutela della sicurezza del lavoro.

Si richiede, insomma, uno sforzo maggiore, di elaborazione e di legislazione sul tema dell’attività economica, non già in una mera logica “punitiva”, ma di indirizzo, anche culturale, che non può andare disgiunto dalla necessaria partecipazione e cooperazione di chi assume in proprio il “rischio” dell’impresa.

Giuseppe Fauceglia

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