Il manifesto europeo di Mario Draghi (di Cosimo Risi)

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“Il mondo è cambiato, dobbiamo cambiare anche noi”. Così Mario Draghi alla Conferenza europea sui diritti sociali a La Hulpe, in Belgio. Draghi anticipa alcuni passaggi del rapporto sulla competitività che sta preparando su incarico della Commissione europea. Il rapporto sarà presentato alle istituzioni europee dopo le elezioni di giugno.

Alcune linee, già ora diffuse, servono da bussola per la campagna elettorale. I partiti dovranno misurarsi sulle sue considerazioni e trarne spunto per l’azione a venire. Non un dibattito stanco sui Governi nazionali, una sorta di referendum camuffato, ma la discussione aperta sull’avvenire d’Europa nella fase costituente che sta per aprirsi.

All’Unione serve “un cambiamento radicale”. Le nostre procedure, i nostri riti, il nostro processo decisionale sono stati concepiti per il mondo di ieri. Era il mondo che precedeva la pandemia da COVID, la guerra in Ucraina, la crisi in Medio Oriente. Era il mondo che si acquietava sul vecchio equilibrio fra le potenze. Oggi le potenze sono tornate al confronto anche aspro, solo la prudenza di alcuni dirigenti politici contiene le frizioni prima che scoppino in crisi aperte.

In Ucraina stiamo sempre sull’orlo del precipizio. Le minacce russe di adoperare l’arma nucleare ancorché tattica, l’evocare le truppe NATO sul terreno, la spirale di sanzioni e contro-sanzioni, il varco aperto all’irruzione della Cina, mai come ora nella comoda posizione di chi aspetta e vede, tanto comunque guadagna. Sullo sfondo è la messa in discussione dell’ordine americano quale emerso dalla fine dell’Unione Sovietica, in favore di un ancora imprecisato multipolarismo. Che altro non sarebbe che riconoscere pari peso a tutte le espressioni politiche, anche le più lontane dal nostro sentire.

Il cambiamento sarà doloroso, avverte Draghi. Bisogna che gli stati cedano altre quote di sovranità, che si generi un mercato comune degli investimenti privati per mobilitarli accanto agli investimenti pubblici, ad esempio nella sicurezza. L’Europa sta letteralmente seduta su una montagna di risparmio privato, a volte inattivo presso le banche e spesso impiegato fuori dalle mura.

Torna la critica alla regola dell’unanimità per le materie ed i consessi (il Consiglio europeo) dove ancora vige. L’unanimità è lo strumento nelle mani anche delle delegazioni più piccole per bloccare il consenso e dunque la presa di decisione. E questo mentre le autocrazie menano vanto della loro efficacia decisionale, il volere di uno per conto della generalità.

Alcuni stati membri nonché alcune forze politiche di marca sovranista probabilmente resisteranno al cambiamento. Se gli altri non sono in grado di convincerli alla causa comune, sarà bene che proceda “un sottoinsieme di stati membri”. La cooperazione rafforzata a questo serve, va utilizzata appieno: “perché il domani è ora e non possiamo permetterci il lusso di ritardare le risposte”.

Il peso d’Europa si misura dal suo profilo esterno, dalla sua capacità di stare al mondo alla pari con i Grandi. Il nostro errore è di concentrarci sulle beghe interne e trascurare quanto accade nel mondo. Siamo costretti a rincorrere gli eventi anziché anticiparli con la speranza dii influenzarli.

La Cina ci coglie di sorpresa: “mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena di approvvigionamento di tecnologie  verdi e avanzate e sta garantendo l’accesso alle risorse necessarie”.   Gli Stati Uniti “stanno usando una politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiere nazionali di alto valore all’interno dei propri confini, compresa quella delle aziende europee, mentre utilizzano il protezionismo per escludere i concorrenti e dispiegano il loro potere geopolitico per riorientare e proteggere le catene di approvvigionamento”.

Il ritardo europeo è tale che “non teniamo il passo nella corsa, sempre più spietata, per la leadership delle nuove tecnologie”. Non riusciamo neppure a proteggere adeguatamente le industrie tradizionali da condizioni globali di disparità.

La conclusione è che l’Europa deve farsi stato. Occorrono lo scatto d’immaginazione per il nuovo corso e la determinazione nel perseguirlo.

Le parole di Draghi sono subito interpretate nel dibattito italiano come il manifesto per la candidatura ad un posto di vertice a Bruxelles. Le opzioni sarebbero la presidenza del Consiglio europeo o la presidenza della Commissione. Il Presidente del Consiglio europeo è eletto dai Ventisette Capi di stato o di governo fra le personalità che hanno avuto rilevanti funzioni di governo. Il Presidente della Commissione è eletto sulla base di una procedura molto più complessa, che deve tenere conto degli equilibri politici emersi dalle urne.

E’ presto se non controproducente giocare la carta Draghi in questa fase. Se ne rende conto il Presidente francese che per primo la ventilò. Il silenzio protegge le eventuali ambizioni del candidato.

di Cosimo Risi

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