Quando la sanità diventa un teatrino (di Giuseppe Fauceglia)

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Qualcuno, per puro spirito populista, ritiene di risolvere la crisi della sanità eliminando il numero chiuso a medicina.

Del resto, è molto più semplice tuonare contro i corsi privati per la preparazione al test di ingresso, piuttosto che dare una spiegazione sulle carenze croniche delle strutture ospedaliere e sugli effetti negativi prodotti da una lottizzazione ultradecennale, che vede protagonisti gli stessi soggetti attivi con qualsiasi presidente regionale, anche se con la presidenza De Luca e con l’assunzione della funzione commissariale la filiera di comando si è accorciata e fortemente personalizzata.

Non voglio, però, intervenire, perché è sotto gli occhi di tutti, sullo stato in cui versa la sanità in Campania, peraltro in sostanziale omogeneità con quanto accade anche in altre regioni meridionali, ma solo tentare di risvegliare qualche reazione celebrale di fronte agli incantatori di serpenti. Il problema non è il numero chiuso a medicina o la bizzarra formulazione dei test (tema per altro risolto dal recente intervento del Ministro dell’Università), ma il rafforzamento dell’intero comparto formativo, dalle scienze infermieristiche a quelle veterinarie.

Invero, il tema ancora più drammatico è la fuga dei medici, non solo dal sistema sanitario pubblico verso quello privato, ma addirittura dall’Italia verso altri Paesi, come Israele. Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Francia, Svizzera, Belgio e Svezia. Secondo la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi e degli odontoiatri, si stima che nel solo 2024 saranno circa 24.000 i medici che lasceranno l’Italia, e tra questi il 90% ha meno di quaranta anni.

Da quanto ho appreso dalla stampa quotidiana tra il 2019 e il 2021 sono andati all’estero già 21.397 medici, tra i quali 14.341 specialisti. A portare questi professionisti, che sono appetibili sul mercato perché si sono formati in un sistema universitario che ancora residua di tratti di evidente eccellenza, sono le prospettive di stipendi migliori (la remunerazione degli specialisti in Italia secondo l’Ocse si colloca al terz’ultimo posto della graduatoria dei paesi occidentali, mentre la retribuzione media nella sola Europa si aggira intorno ai 194.400 euro annui) o di contratti a tempo indeterminato, l’ assenza di un sistema di politicizzazione esasperata che mortifica il merito, una migliore organizzazione e valorizzazione della ricerca scientifica, l’assenza di aggressioni fisiche da parte di parenti o pazienti e la bassissima incidenza delle azioni legali (invero, più il sistema è clientelare e maggiore è la ricorrenza di errori o di inefficienze letali).  Sono ben 475 i medici che nella sola Regione Campania hanno chiesto di essere trasferiti all’estero, sembra solo per l’anno in corso.

Allora, piuttosto che trasformare la sanità  pubblica, che già resta un terreno elettivo del voto di scambio, in una specie di teatrino buono per attrarre le allodole del consenso a buon mercato, bisognerebbe prendere consapevolezza di questa realtà, ricercare i motivi che caratterizzano, ad esempio, la carenza di strutture e di macchinari,  a volte oggetto di acquisti un tanto cervellotici e di beni absoleti oppure acquisiti con grande ritardo, specie quando la richiesta viene da un primario “non gradito”; ed inoltre, tentare di introdurre meccanismi di premiazione del merito (ancora scotta sulla pelle dei salernitani la vicenda del cardiochirurgo dott. Iesu), e magari non pensare solo agli appalti per la costruzione di mega impianti ospedalieri (che non servono a niente senza competenze professionali e adeguate strutture diagnostiche).

Giuseppe Fauceglia

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