La guerra che fu non insegna (di Cosimo Risi)

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La cerimonia del D-Day in Normandia offre l’occasione ai leader del mondo libero di commemorare il momento più alto della solidarietà transatlantica. Migliaia di militari soprattutto  nordamericani affrontarono la morte sicura per sbarcare in Francia e chiudere la tragica vicenda nazi-fascista. L’invitato d’onore è il Presidente Zelenskyj, con una involontaria quanto evidente distorsione.

Avrebbe dovuto esserci il paese che è oggi l’erede dell’Unione Sovietica, allora alleata con il fronte occidentale. Ma la Russia non è ammessa ai festeggiamenti da quando ha aggredito l’Ucraina. Mentre l’Ucraina, all’epoca del conflitto una Repubblica sovietica, conobbe momenti di collaborazione con la Germania.

L’Italia e la Germania, le potenze sconfitte, sono ammesse da tempo. Le divisioni del passato sono superate, ambedue appartengono al sistema europeo, di cui sono cofondatrici con Francia e Benelux, ed al blocco occidentale. La nuova solidarietà va verso l’aggredito dal nuovo tiranno.  Così il Presidente americano definisce il Presidente russo.

La presenza di Steven Spielberg e Tom Hanks, regista e protagonista di Salvate il Soldato Ryan,  aggiunge il tocco artistico. Il grande  cinema americano è in grado di rappresentare i grandi momenti della storia in forma di epopea.

Da Mosca Vladimir Putin rilancia le minacce già di Dmitrij Medvedev: non costringetemi, voi NATO, ad evocare l’arma nucleare, potrei usarla sul serio se la minaccia fosse portata all’integrità di Russia. Anche se – aggiunge – l’Europa è così indifesa che non meriterebbe un trattamento del genere. Per concludere che l’Italia non conosce la russofobia cavernicola e questo è un dettaglio da rimarcare.

Il messaggio oscilla fra le solite chiusure e qualche ambigua apertura. I destinatari sono i membri del G7 e del Vertice NATO. A Borgo Egnazia i Sette discuteranno dell’uso dei proventi dei capitali russi depositati in Occidente: se e come adoperarli a favore dell’Ucraina. Le posizioni divergono. L’opzione su cui si lavora è di trasferire i miliardi di dollari dei profitti allo European Peace Facility. L’EPF è  il fondo europeo per la pace gestito da Bruxelles. Questo sia per stemperare la portata dell’operazione imputandola all’Unione e sia per dirigere i fondi verso l’acquisto di materiali europei. Dal 2022 il 70% della spesa in armi per l’Ucraina è andato a favore dell’industria americana.

Il linguaggio della guerra e la sua pratica dominano il dibattito in Medio Oriente. Le trattative per gli ostaggi rallentano sulla disputa fra il piano americano e la versione che ne dà Israele, quest’ultima ritenuta riduttiva da Hamas. La liberazione con la forza di quattro ostaggi depone a favore della linea militare.

L’assalto a Rafah continua, si colpiscono le postazioni residue di Hamas ma senza sovraesporsi. Joe Biden  di questa storia non vuole più sapere, probabilmente non vorrebbe più sapere di Netanyahu, ma non è lui a convocare le elezioni anticipate in Israele né a determinarne l’esito.

Benny Gantz, l’atteso vincitore, lascia il Gabinetto di guerra, con lui gli altri due esponenti del National Unity Party. Gantz ed il suo vice Gadi Eisenkot sono stati Capi di Stato Maggiore della Difesa. Come altri militari, dismessa la divisa, sono passati alla politica, sempre per via elettorale. Le forze armate sono un misto di professionisti e volontari, vigendo la leva obbligatoria per uomini e donne. Le esenzioni a favore degli studenti delle scuole religiose sono oggetto di critiche da parte degli ambienti laici. Fra le condizioni poste da Gantz, la più delicata per Netanyahu è di ridurre se non annullare le esenzioni, in modo da rendere universale la leva.

Israele è un caso unico nel quadro regionale: mentre divampa il conflitto, si susseguono le manifestazioni popolari pro e contro la linea governativa, non scatta la legge marziale, la stampa scrive apertamente di tutto, si apre virtualmente la crisi di governo.

Se Gaza non bastasse, ecco profilarsi il caso Libano. Hezbollah intensifica gli attacchi sul nord d’Israele. Gli insediamenti in Galilea sono presi di mira dai razzi, le popolazioni sfollano altrove, il loro numero cresce con il passare dei giorni.

Hezbollah è meglio organizzato di Hamas  e apertamente sostenuto dall’Iran. La nuova  guerra del Libano sarebbe distruttiva per quel paese, avrebbe l’effetto collaterale di precipitare Israele in un nuovo vortice. E questo mentre la sua reputazione internazionale perde punti.

L’ONU dichiara lo Stato ebraico un posto insicuro per i bambini, con riferimento alle morti di minorenni a Gaza. Un altro punto nella polemica fra New York e Gerusalemme, un nuovo capitolo nella disputa a distanza fra Netanyahu e Guterres, persona non grata in Israele.

di Cosimo Risi

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