La diplomazia e la disciplina del silenzio (di Cosimo Risi)

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Paolo Magri, direttore dell’ISPI di Milano, scrive una lettera aperta al neo Ministro degli Esteri con un pacchetto di consigli. Si dice ammirato per un giovane così fiducioso nei propri mezzi da cimentarsi con il compito di dirigere la politica estera dell’Italia, pur sempre un membro fondatore dell’Unione e uno dei sette Grandi al mondo.

Si ironizza sul fatto che parlerebbe l’inglese come l’italiano. L’inglese può essere appreso al pari del francese e dello spagnolo, i buoni insegnanti non mancano alla Farnesina e sarebbero onorati di avere cotanto allievo.

Il silenzio è una disciplina più dura da apprendere per chi è cresciuto nel fasto dei social media, per cui esisti se ricevi adeguato numero di “mi piace” dalle migliaia di seguaci. In inglese: “like” e “followers”, tanto per stare nel tema. La diplomazia esige il silenzio pubblico e l’eloquenza privata. Nessun interlocutore internazionale darebbe credito ad un Ministro che posti su FB il contenuto del colloquio e persino il fatto che il colloquio è avvenuto.

L’esordio non va proprio in questa direzione. Nella sala del Ministro al primo piano della Farnesina, egli riceve la delegazione del suo partito al Governo. Non è proprio una riunione di partito ma poco ci manca.

Stefania Craxi, che fu Sottosegretaria, nota che l’evento è una stonatura istituzionale, una sgrammaticatura per usare la parola cara al Presidente del Consiglio. E’ un fatto benemerito che il Ministero Esteri sia guidato da un autorevole esponente politico. Sarebbe altrettanto benemerito se il titolare si spogliasse temporaneamente della veste di capo partito per assumere quella del rappresentante dell’unità nazionale sul fronte esterno.

Si dirà che non vi è unità nazionale sul punto. Se così fosse, l’unità andrebbe cercata attorno al programma di governo ed alla sua concreta azione. Il Ministro degli Esteri rappresenta il paese all’esterno nella sua interezza o è indebolito alla radice.

Per un’immediata presa di coscienza Magri propone  alcuni punti, li definisce semplici e  non lo sono affatto. Cina, Russia, Stati Uniti, Unione europea, migrazioni, Libia. Il solo enunciarli mette apprensione, è affrontare il mare aperto sull’imbarcazione della diplomazia italiana, un vascello glorioso che perde equipaggio a misura della perdita di risorse finanziarie.

Cina. La via della seta affascinava Di Maio nel precedente incarico ministeriale. Continua ad affascinarlo o gli pone nuove valutazioni?

Russia. Ancora in corso il dossier Hotel Metropol di Mosca che riguarda la Lega, si spalanca il caso della presunta spia fermata a Capodichino su richiesta americana. Siamo ad una riedizione della guerra fredda combattuta tramite gli agenti segreti? Si riesce ad abbassare i toni e ritrovare con la Russia il filo del rapporto non competitivo?

Stati Uniti. Il mandato del governo dovrebbe durare fino all’elezione presidenziale. Trump succederà a sé stesso? Nel caso proseguirà la strategia di America First con le conseguenze che comporta nelle relazioni internazionali (nucleare, commercio, ritiro da certe aree strategiche)?

Migrazioni. Con la crisi climatica e il paventato aumento di 1,5° della temperatura nel 2030, 170 milioni di persone si metterebbero in movimento per sfuggire alla desertificazione delle loro aree. Verso quali destinazioni? Basterà chiudere i porti per bloccare i flussi?

Unione europea. La nomina di Gentiloni a Commissario europeo è volta a rassicurare i partner. Basterà questo o occorre un diverso atteggiarsi del Governo a Bruxelles? Rientreremo nella pattuglia di testa o ci attarderemo nella retorica del battere i pugni sul tavolo?

Libia. La situazione è bloccata mentre avremmo estrema necessità di stabilizzare il paese, il nostro massimo fornitore di migranti oltre che di idrocarburi. Persuasione diplomatica rivestita di fermezza potrebbe essere lo slogan.

di Cosimo Risi

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