Consumi: salernitani alle prese con il budget natalizio

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shopping_per_nataleSi avvicina il periodo dell’anno più caratterizzato dalla propensione agli acquisti, ma non sempre l’intenzione e la predisposizione alla spesa si abbinano con le effettive disponibilità finanziarie dei nuclei familiari. Lo scenario complessivo in provincia di Salerno si profila – per la verità, in continuità con gli anni scorsi – non esattamente in linea con comportamenti espansivi sul piano dello shopping natalizio.

Il perimetro di spesa delle famiglie. Per comprendere bene in quale perimetro di capacità di spesa si muovono le famiglie salernitane occorre tenere presente alcuni indicatori sostanziali. In media un nucleo familiare residente nella nostra provincia destina ai consumi 1.378 euro al mese (Il Sole 24 Ore, dicembre 2015). Giusto per capirci: la media nazionale (Istat, 2015) si attesta a 1.910 euro. Ma, giusto per capire come siamo distanti dai primi della classe, in provincia di Milano i consumi medi mensili per famiglia sono pari a 2.398 euro.

Il valore aggiunto pro capite. Se riconduciamo queste dinamiche al valore aggiunto pro capite, facciamo i conti ancora meglio con quella che è la realtà effettiva delle cose: 14.163 euro. Cifra ben  lontana – sempre per avere un termine di paragone – da quella mediamente disponibile per un residente a Milano: 48.629 euro. Insomma, il divario tra le due Italie non è un’invenzione mediatica, ma un elemento concreto che si riflette sul tenore e sulla qualità della vita delle persone. E si può continuare ancora: importo medio mensile delle pensioni a Milano: 1.126 euro. A Salerno: 617 euro. Per chiudere il cerchio delle disponibilità (medie), è indispensabile indicare il patrimonio familiare (composto nella nostra provincia in larghissima parte da proprietà immobiliari e residualmente da rendite finanziarie): 275.348 euro nel Salernitano; 471.825 nel Milanese.




L’esposizione debitoria media. Ma non bisogna dimenticare il debito medio mensile. Trenta salernitani su cento devono fare fronte mensilmente ad una rata derivante da prestiti di varia tipologia pari a 350 euro (fonte Crif). Ed hanno un indebitamento residuo (medio) di 29.718 euro. Nell’ambito di queste linee di credito il 48 per cento deriva da prestiti “finalizzati” (per l’acquisto, in genere, di beni come l’auto, gli elettrodomestici o altro), il 34 per cento da prestiti “personali” (esigenze di esami clinici o cure mediche, viaggi/vacanze, istruzione dei figli etc etc) ed il 18% da mutui per acquisto di abitazioni (percentuale lontana dal 22 per cento a livello nazionale).

I soldi realmente disponibili. A conti fatti, per i consumi non strettamente necessari al normale svolgimento della vita quotidiana resta ben poco. Perché bisogna tenere presente che il livello medio della spesa alimentare – spiega sempre l’Istat (luglio 2016) – a livello nazionale è pari a 441,50 euro al mese. Occorre, quindi, calcolare per avere il dato medio della nostra provincia, un importo pari al 60/65 per cento di 441 euro. Per la spesa di beni e servizi non alimentari, siamo vicini, invece, al 60/65 per cento della media nazionale: 2.057,87 euro. Quel che è peggio è che non si intravedono segnali di avvicinamento tra le due Italie. “Permangono – sottolinea l’Istat – le differenze strutturali sul territorio, legate ai livelli di reddito, ai prezzi e ai comportamenti di spesa, con i valori del Nord più elevati di quelli del Centro e, soprattutto, di Sud e Isole. La Lombardia e il Trentino-Alto Adige sono le regioni con la spesa media più elevata (rispettivamente 3.030,64 e 3.022,16 euro)”. Valori molto distanti – è appena il caso di ricordare – dai nostri 1.378 euro al mese.

La contrazione della spesa alimentare. Se diamo uno sguardo ai trend più recenti dei consumi, è del tutto evidente che le famiglie hanno deciso – giustamente – di puntare più sul risparmio (quando è possibile) che sul recupero degli standard del tenore di vita antecedente alla grande crisi. Secondo una recente analisi della Confesercenti – per esempio – i mesi estivi sono stati positivi (sebbene meno di quanto sembrava prospettarsi) per il turismo, ma “neri” per i consumi. Il dato di agosto ha confermato un calo: le vendite sono diminuite complessivamente dello 0,2% in valore e dello 0,8% in volume, con un picco negativo (-0,7%) proprio per i prodotti alimentari.

In altre parole: la ripresa della spesa delle famiglie – evidenzia la Confesercenti – che aveva iniziato a rallentare nell’ultimo trimestre del 2015, sembra ormai essersi completamente arenata. Altra nota che spiega bene la cautela delle famiglie: si allarga il “solco” delle vendite tra negozi tradizionali (-0,1%) e Grande Distribuzione (+0,6%). E nel comparto alimentare tengono il passo solo i discount (+1,3%). Nel segmento delle piccole superfici – a livello nazionale – tra luglio e agosto hanno cessato l’attività 874 imprese tra alimentari, forni, macellerie ed ortofrutta.

FONTE: WWW.SALERNOECONOMY.IT

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