Un passato da spia e il caso Skripal a Londra (di Cosimo Risi)

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Di John Le Carré sappiamo quasi tutto. Al secolo David Cornwell, fu agente del servizio segreto britannico, esordì da scrittore con La spia che venne dal freddo.

Il maestro della spy – story, inizialmente conservatore e cogli anni divenuto così progressista da combattere The Big Pharma, la grande industria della farmacopea, e criticare Londra per il recesso dall’Unione europea, a 85 anni suonati torna  con un titolo che più eloquente  non si può: Un passato da spia (2018, Mondadori).

Il personaggio culto di Le Carré è il dirigente del controspionaggio britannico George Smiley che, a giudicare dalla longevità del servizio, avrebbe all’incirca l’età dell’autore, quando i pubblici funzionari di regola si godono la pensione nella dimora di campagna fra whisky single malt e porridge. Le Carré riporta in servizio Smiley affidandogli l’ultimo caso: una storia intricata come solo la sua penna riesce a scrivere e come solo i lettori avvertiti riescono a comprendere.

L’autore è preveggente. Il romanzo, pubblicato in inglese nel 2017, cade nel pieno della spy story, questa vera, del doppio agente  russo ucciso col gas nervino a Salisbury.  Sergei Skripal era infatti un agente doppio. Il suo incarico originario era per la Russia e fu ingaggiato dai britannici per il doppio gioco.

Scoperto dai commilitoni, fu condannato e segregato probabilmente a vita. Se non che, ad un certo momento, scatta un altro evento topico delle storie di spie: Regno Unito e Russia decidono di scambiarsi i reciproci agenti, fra i quali  Skripal.

Una volta questo sarebbe avvenuto a Berlino (ricordate Il ponte delle spie di Steven Spielberg con Tom Hanks?),  ora avviene in maniera meno pittoresca. Skripal è accolto nel Regno Unito, si accasa a Salisbury, conduce una vita pressoché normale con una indennità da Londra neppure tanto alta. La sterlina  non è più quella di una volta.

Nei romanzi di Le Carré, e probabilmente nella vita reale, vigeva la regola che gli agenti scambiati godessero di una sorta di salvacondotto. Skripal fa eccezione. Qualcuno lo avvelena, con la figlia in visita a Salisbury, con un gas nervino di produzione militare.

Il Governo di Sua Maestà, il Ministro degli Esteri in testa, quel Boris Johnson distintosi nella campagna per l’exit, imputa la responsabilità al Governo russo se non direttamente al Cremlino. Una minaccia del Presidente Putin ai “traditori della patria” è considerata una prova, al pari della produzione sovietica del gas e dell’abilità dei sicari, ovviamente anonimi e scomparsi nel nulla.

Il Regno Unito chiede e ottiene la solidarietà dell’Occidente. La reazione è riluttante: a cominciare dagli Stati Uniti per finire alla Germania, troppi sono i motivi di interesse verso la Russia per riaprire la guerra delle spie che riporta l’orologio alla guerra fredda. Ma tant’è.

Le prove appaiono convincenti e l’Occidente solidarizza. Londra espelle un certo numero di diplomatici russi, che dichiara essere agenti sotto la copertura dell’immunità. Mosca espelle per ritorsione un certo numero di diplomatici britannici, anch’essi presumibilmente agenti sotto copertura. L’Italia solidarizza senza zelo: e non solo perché passiamo per  filo-russi ma per la precarietà del quadro politico.

Il caso Skripal presenta molte ombre. Il gas nervino prodotto in Uzbekistan, quando l’Uzbekistan era parte dell’Unione Sovietica, come uscì dal laboratorio? In quali mani finì e per quale uso? Ci sta un filo diretto – eziologico, direbbero gli avvocati – fra la produzione governativa del gas ed il suo uso parimenti governativo?

Se stessimo in Italia, si parlerebbe di giustizia ad orologeria. Il caso Skripal scoppia nel pieno della campagna delle presidenziali in Russia. Vladimir Putin è candidato a succedere a se stesso per il quarto mandato da Presidente.

La Crimea voterà per la prima volta dall’annessione alla Russia. La vittoria di Putin è scontata, i sondaggi lo danno al 70%. Il caso Skripal può pesare in positivo: il Presidente criticato in Occidente merita il plebiscito in patria.

Cosimo Risi

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