30 anni senza Sergio Leone e senza i suoi film (di Cosimo Risi)

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Di Sergio Leone corrono i trenta anni dalla scomparsa. E’ fra i grandi registi italiani, al pari dei Premi Oscar Fellini, Bertolucci, Benigni, Tornatore, Salvatores, Sorrentino.

Un innovatore dei generi, dal western al gangster movie. Strappò il western alla retorica della Frontiera per rimodellarlo fra le radure di Spagna e gli studi di Roma. Ebbe complice Ennio Morricone, che per lui compose colonne sonore memorabili.

Si provi ad ascoltare dal vivo il Maestro, felicemente novantenne, mentre dirige sul palco. Appena attacca L’estasi dell’oro,  un mormorio si leva dal pubblico, noncurante dell’obbligo del silenzio in sala. Il motivo de Il buono il brutto il cattivo è così noto che molti saprebbero canticchiarlo come il tormentone dell’estate.

La scena è del duello finale: non a due da tradizione, ma a tre. Superando l’archetipo di Mezzogiorno di fuoco, Leone dispone al centro d’un brullo cimitero tre pistolero: il buono (Biondo – Clint Eastwood), il brutto (Tuco – Eli Wallach), il cattivo (Sentenza – Lee Van Cleef).

Una scena lunga, insistente, nella lentezza  tipica  del regista. I tre si disputano a suon di rivoltellate il tesoro nascosto in una tomba. Il bottino sarebbe abbastanza ricco da poter essere diviso. L’estasi dell’oro, appunto, è tale che ciascuno lo vuole tutto per sé ed è pronto a rischiare la pelle.

La macchina inquadra i volti inespressivi, non si capisce chi sia il buono e chi il brutto e chi il cattivo: i ghigni si somigliano. E poi le pistole. Quella del brutto è agganciata con lo spago: è un desperado messicano. Quella del buono è inizialmente coperta dal poncho, e dire che Eastwood aveva chiesto di essere esentato dall’indumento già indossato nei film precedenti. Solo il cattivo ha una sua macabra eleganza in nero.

Una scena se possibile più lunga, e per giunta silenziosa, è quella iniziale di C’era una volta il West. Brutti ceffi, con nessuno dei quali manderesti una figlia in cerca di marito, aspettano il treno in una stazione desolata in un paesaggio desolato. Il massimo movimento di macchina segue una mosca che un malvivente cattura nella canna della pistola. Poi tutto si anima all’arrivo del treno.

La sparatoria è rapida e mortale. Tutti i personaggi sono così cattivi che sembrano usciti da un fumetto. E’ l’apoteosi dell’immoralità e dell’ineleganza. Spicca  la splendida Claudia Cardinale, la puttana redenta, il fiore nel deserto.

L’apice figurativo Leone lo raggiunge con C’era una volta in America. La rappresentazione di un mondo di gangster che esisteva solo nella sua immaginazione. Nessun criminale avrebbe parlato alla maniera di Robert De Niro, allora alla massima espressività dolente.

L’amico – nemico che gli ha rubato tutto, financo la donna, gli chiede cosa ha fatto negli anni che non si sono visti. De Niro risponde che è andato a letto presto la sera. Un dialogo surreale per un racconto talmente astratto da raggiungere i vertici del poema omerico. I personaggi non hanno pretese realistiche, sono maschere di caratteri universali.

Il film era talmente lungo che fu presentato in due parti. Non ebbe grande successo in America che lo giudicò di impianto troppo europeo per piacere. La colonna sonora dell’immancabile Morricone coronò l’atmosfera con melodie che inducono alla malinconia se non alla commozione.

Ci sono infatti passaggi che viene da piangere: si prenda quella di De Niro che sogna con l’oppio nella fumeria cinese. La bellezza figurativa sa essere insopportabile. Eppure il film racconta la storia violenta di uomini violenti. Lo stesso De Niro non esita a violentare la ragazza da lui sempre  amata e da lei sempre respinto.

Leone si accingeva a girare un film sull’assedio di Leningrado. Ne sarebbe venuto un capolavoro. L’opera ci è preclusa per sempre. Morì ad appena sessanta anni.

Cosimo Risi

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