9 novembre 1989 – 9 novembre 2019: 30 anni dalla caduta del Muro (di C. Risi)

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Agli inizi dei Novanta la congiuntura internazionale è favorevole. La Russia di Boris Eltsin avvia una stagione di riforme nel senso del libero mercato e si avvicina politicamente all’Occidente fino ad essere invitata al G7. Il Medio Oriente, l’eterna questione aperta a ridosso d’Europa, trova la via della normalizzazione grazie agli Accordi di Oslo e Parigi sul reciproco riconoscimento di Israele e Autorità Palestinese.

La Dichiarazione di Barcellona (1995) sancisce il partenariato euro-mediterraneo, mette per la prima volta assieme gli europei da una parte e i mediterranei dall’altra. Non si ha ancora il riconoscimento diplomatico di Israele da parte di tutti i paesi arabi, ma la strada sembra tracciata dopo che pure la Giordania ha stretto un accordo di pace.

La Cina è ancora un paese in via di sviluppo, cresce con le riforme volute da Deng Xiaoping ma non ancora in misura tale da impensierire le economie occidentali. La Presidenza Clinton appare generosa e innovativa: è l’epoca della new economy, l’economia digitale che vede lo strepitoso successo di imprese nate nel garage di casa. E’ l’epopea di Steve Jobs e Bill Gates.

All’Unione non basta il completamento del mercato unico. Occorre combinare il processo interno di approfondimento con il processo esterno di allargamento. I paesi già socialisti premono per aderire. Vanno accolti ad evitare il ritorno al passato comunista e l’incantamento che potrebbe nuovamente venire da Mosca.  La Russia sarà rinnovata ma resta troppo grande e vagamente minacciosa per essere considerata partner a pieno titolo.

La modifica del Trattato per via diplomatica pare una via datata, occorre iniettare dosi di democrazia e partecipazione nella costituzionalizzazione dell’Unione. Alla vecchia prassi della conferenza intergovernativa occorre quanto meno premettere la procedura della convenzione, e cioè di assise aperte a esponenti della politica e della società civile.

La Convenzione è affidata a Valéry Giscard d’Estaing, già Presidente di Francia: un sincero europeista, come usava allora, e tale da rassicurare la Germania e il Regno Unito che non vi sarebbero derive sul piano delle finanze pubbliche (Berlino) e della fedeltà atlantica (Londra).

La Convenzione produce la Costituzione per l’Europa, rompe il tabù lessicale che ha fino ad allora inibito l’uso di aggettivi quali costituzionale e federale. Va bene la “federazione come se” ma non la federazione in quanto tale, suona da super-stato ai popoli ancora nazionalisti o di ritrovata sovranità. I paesi dell’Est sono ammessi ai lavori da osservatori in quanto sono in corso i negoziati di adesione. Il primo gruppo entra infatti nel 2004.

La Costituzione incontra i voti negativi nei Paesi Bassi e in Francia: non entra in vigore. A bocciare il progetto sono due stati membri fondatori, uno dei quali, la Francia, aveva condannato la Comunità Europea di Difesa nel 1954. Del progetto è salvato il salvabile nel Trattato sull’Unione europea che, firmato a Lisbona, entra in vigore nel 2009.

A distanza di dieci anni alcuni nodi restano irrisolti. Anzitutto quello emerso alla caduta del Muro: se e in quale misura l’Europa possa dirsi potenza globale e parlare con voce unica sulla scena internazionale. L’interrogativo è ora rilanciato da Emmanuel Macron nel diagnosticare alla NATO “la morte cerebrale”. Se l’Alleanza è prossima alla fine, cosa vive del sistema europeo di sicurezza?

Cosimo Risi (seconda parte)

 

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