Ass. ‘Io Salerno: Mica siamo l’Amazzonia, noi!

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“Quando vedete il fuoco a casa degli altri, correte con l’acqua a casa vostra”.

Il nonno, davanti alla grande fiamma, ci educava alla vita facendo spesso ricorso a proverbi della cultura contadina. Non c’è di che meravigliarsi. Avere la quinta elementare, alla fine del 1800, era già un successone.

Di quella massima, però, ci sorprendeva il collegamento. Noi, a casa, non avevamo il fuoco come il suo. E neppure il camino.

C’è voluto qualche anno, per capirne il senso e preparare il secchio con l’acqua.

Oggi, purtroppo, guardando in giro, sembra che eguali esortazioni siano mancate, da parte di altri nonni, ovvero che siano mancate le necessarie riflessioni, da parte di altri nipoti.

Proprio in questi giorni, una violenta mareggiata ha ‘raccolto’ presso i moli del porto una enorme quantità di rifiuti di plastica creando un bel tappeto colorato. Una tavolozza di schifezze.

Così, mentre tutti stavamo a preoccuparci del ‘Pacific Trash Vortex’, l’isola di plastica nell’oceano Pacifico, tra California e Hawaii, formata da 2.481 miliardi di detriti di plastica (fonte: QuiFinanza), nessuno si è accorto di quello che galleggiava nel mare di fronte a casa. E, mentre tutti guardavamo con interesse alla ‘Ocean Array Cleanup’, un macchinario costruito apposta per la ripulitura dell’Oceano, nessuno ha pensato di fabbricare una barchetta per raccogliere la nostra spazzatura.

Cioè, abbiamo visto l’incendio altrove senza prepararci a fronteggiare il nostro. Proprio il contrario degli insegnamenti del nonno.

Qualche mese fa, siamo rimasti tutti sgomenti nel vedere gli sconvolgimenti e gli incendi in Amazzonia dove si ‘produce’ il 20% dell’ossigeno necessario alla vita dell’intero pianeta. In effetti, quel polmone verde offre un contributo fondamentale alla conservazione degli incredibili ed esatti equilibri che hanno consentito la nascita, e regolano, oggi, la armonica coesistenza, di una moltitudine di specie composte tutte dalla stessa energia, sebbene assemblata in modo diverso.

La devastazione di quell’immenso territorio configura sicuramente un vero e proprio crimine contro l’umanità. E’ un omicidio su scala mondiale. O, forse, un suicidio. Stravolgere bilanciamenti frutto di una evoluzione naturale, o predisposti da Qualcuno, non sappiamo, ci riporterebbe al caos con gravi conseguenze per tutti. Perché tutti siamo parte del tutto. E potremmo trovare difficoltà ad adattarci a nuovi equilibri, salvo vivere in cupole con ambiente controllato o utilizzare scafandri.

Così, si sono moltiplicate le pressioni politiche, le ribellioni del mondo scientifico, le dichiarazioni degli intellettuali, le manifestazioni pubbliche della gente comune, nei confronti di coloro che stavano producendo questo scempio per gli ‘appetiti’ dei latifondisti, per le colture di soia, o di chi fosse anche solo interessato a ricercare oro e diamanti. Non solo. E’ stato anche denunciato che i nuovi insediamenti urbani, con autostrade e impianti industriali, avrebbero distrutto l’identità di quei luoghi e avrebbero diffuso veleni, polveri e inquinamento con la morte certa di migliaia di specie viventi.

Le proteste hanno interessato anche il mondo giovanile. Del resto, sono loro i futuri proprietari pro-tempore.

Tutti hanno sostenuto che quella terra è ‘bene comune’ e deve restare a disposizione dell’intera umanità per naturale destinazione. Come i ghiacci ai poli.

Però, mentre ciò accadeva in Amazzonia, da noi è stato incendiato per ben tre volte il Colle Bellaria, o ‘masso della signora’, con la distruzione di quel poco di verde che ancora era presente.

Il colle è la nostra piccola Amazzonia e svolge la funzione di “polmone di ossigeno”, per quanto minima possa essere la quantità prodotta. Potrebbe assicurare ben maggiori rilasci se fosse trasformato in ‘bosco urbano’, magari in continuità con il promesso parco nella ex D’Agostino. Da decenni, però, entrambe le zone sono in completo abbandono.

Poco più in là, l’area verde dei Picarielli è in progressiva cementificazione. Si distruggono gli orti e si tagliano gli alberi da frutto, si coprono i suoli e si tombano i ruscelletti, come il ‘Rumaccio’.

Più in su, la punta verde di Sala Abbagnano è scomparsa sotto nuove costruzioni, talune con affaccio ‘scomposto’ sulla Città. Dal basso, sembra siano state realizzate ciclopiche opere di contenimento. Si sa che la collina non è delle più solide e sono presenti zone a rischio frane di categoria ‘2’, media, e ‘3’, elevata (fonte: sito Regione dx Sele). Del resto, un movimento del terreno è avvenuto proprio in questi giorni.

Più in centro, le storiche ‘sorgenti Campione’ di acque curative sono state soffocate sotto piastre di cemento dalle quali pure sgorgano. Sui viali a mare, alberi spezzati dal vento, perché malati a causa della mancata manutenzione, vengono tagliati e non sono sostituiti, mentre altri sono in evidente sofferenza. Il traffico impazza, in assenza di una mobilità sostenibile, le auto sono in sosta a due e, addirittura, a tre file, distribuendo ogni tipo di veleno.

Le spiagge sono state in gran parte privatizzate. Il mare è spesso simile a una fogna e, all’altezza della Provincia, ne emana sempre l’odore e diventa spesso marrone. Sulla spiaggia della tradizione, Santa Teresa, vera espressione della nostra identità di Città meridionale e mediterranea, fuoriescono reflui pieni di ferro, residui solidi e schifezze varie. Le rilevazioni Arpac parlano chiaro.

A Ovest, si valuta di trasformare Piazza Alario in un campo di plastica e tutta la parte storica è avvolta da inquinamento e polveri sottili per il transito di 2.000/3.000 tir al giorno (fonte: A.P.). Nella montagna dell’Olivieri, che non è per niente compatta e ogni tanto si sfalda, si scavano due tunnel lunghi un paio di chilometri proprio nelle zone con rischio frane di categoria ‘3’, elevata, e ‘4’ molto elevata (fonte citata).

A Est, si progettano nuove occupazioni di suoli mentre si realizzano mostri di cemento su aree prima destinate alla Comunità.

A Fratte, i fumi e i veleni industriali ed autostradali asfissiano il quartiere, i dintorni e i residenti.

Così, a ben pensare e fatte le debite proporzioni, noi stiamo trattando il nostro territorio come se fosse l’Amazzonia e. come in Amazzonia, i nostri “beni comuni” non sembra siano utilizzati nell’interesse della Comunità. Certo, da noi non ci sono né diamanti né oro ma, forse, c’è chi è in grado di trovarli o è in possesso della pietra filosofale.

Epperò, molto stranamente, nessuno protesta.

Non protestano gli uomini di cultura, non protestano gli ordini professionali, non protestano gli ecologisti, non protestano neppure i residenti che accettano supinamente di subire i disagi di una Città confusa e i danni di un ambiente malato. E, ancora più stranamente, non protestano neppure i giovani che, seguendo un movimento di dimensioni mondiali, pure hanno recentemente dato vita a una giornata di opposizione collettiva a favore dell’ambiente: il ‘Friday for future’. Chissà, forse volevano solo fare ‘filone’. Pure autorizzato.

Sembra, anzi, che in molti salga il compiacimento per una asserita modernità della Città conseguente a interventi mirati a copiare realtà assunte a riferimento senza tener conto che non siamo, e mai saremo, né Dubai, né Doha, né Montecarlo. Non bastano una ruota colorata e le giostrine da parco giochi, per esserlo.

E nessuno prepara il secchio per spegnere il fuoco. Del resto, mica siamo l’Amazzonia, noi!

No, non lo siamo. Siamo peggio. Perché lì possono morire le specie viventi, mentre qui moriamo noi e, con noi, i nostri figli e i nostri nipoti.

Eppure, se l’Amazzonia ci dà il 20% di ossigeno, dovremmo seriamente pensare di produrre l’80% residuo.

Evidentemente, non è l’ossigeno quello che interessa, qui, e poco importa se la Città è destinata a spegnersi.

Del resto, anche sul Titanic si continuava a ballare.

Questa Città non si salva con il profitto di pochi e l’egoismo di molti. Si salva con l’amore di tutti.

Questa Città ha bisogno di amore.

 

e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com

pagina fb: Associazione io Salerno

1 Commento

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  • Purtroppo lei ê solo o in compagnia di pochi, possibilmente non salernitani. Circa un mese fa mitrovavo sul balcone della casa dell’amica Anna che abita San Massimo ed ero insieme a mia nuora; mentre ci rammaricavamo per l’incuria colpevole perpetrata con incredibile indifferenza e mentre parlavamo di come la città avrebbe potuto divenire un fantastico percorso longobardo e normanno, abbacinati dallo splendido panorama che ci portava indietro nel tempo, mia nuora ha detto: ‘vi rendete conto che a rattristarci ed a proporre un cambiamento siamo noi tre, Anna di Reggio Emilia, io di Roma e mia nuora di Varese? Ho lavorato per quasi 40 anni in Soprintendenza ed alle tante scoperte fatte in archivio e pubblicate in parte, non c’è stato eco alcuno perché la città, allora, era stretta sulle proprie ‘figure culturali di riferimento’ ed io non ero degna neanche di essere invitata a parlare di quanto emerso dalle ricerche. Il salernitano non ama la sua città e la ruotona e le luci di plastica bastano a riempirlo di orgoglio.

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