Si rischia l’infarto per paura del Coronavirus: in Campania 30% di angioplastiche in meno

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Nella regione Campania le procedure di angioplastica, un’operazione chirurgica generalmente risolutiva che allargando l’arteria occlusa ristabilisce la normale erogazione del sangue verso il cuore, sono diminuite di oltre il 30%, rispetto al periodo antecedente allo scoppio dell’epidemia da Covid-19 e, in alcuni casi, si è arrivati anche al 50%, soprattutto nelle prime due settimane di lockdown.

E’ il dato che è emerso da uno studio condotto dai ricercatori dell’Università Federico II di Napoli e pubblicato sulla rivista scientifica “Circulation”, che si occupa di temi legati alla cardiologia.

La paura del contagio
Coronavirus, la mortalità per infarto in Italia è triplicata
Si tratta di una sorta di allarme per quanto riguarda una patologia, come l’infarto acuto del miocardio, che rappresenta una delle principali cause di morte a livello globale. La spiegazione dietro a questi numeri dicono gli esperti e sebbene il sistema sanitario regionale abbia garantito l’operatività della rete delle patologie cardiache e la pandemia non abbia ridotto l’incidenza della malattia, è essenzialmente legata alla paura del contagio durante l’emergenza sanitaria. Lo studio, infatti, ha evidenziato che rispetto allo stesso periodo del 2019, nei centri di cardiologia interventistica della Campania che hanno aderito alla ricerca c’è stata una riduzione delle chiamate al 118.

“Dall’inizio della pandemia si susseguono gli appelli delle più importanti società scientifiche a non sottovalutare i sintomi dell’infarto e attivare il 118, considerando gli ospedali dei luoghi sicuri”, ha spiegato Giovanni Esposito, ordinario di Cardiologia e direttore della Uoc di Cardiologia, Emodinamica e Utic dell’azienda ospedaliera Federico II di Napoli. “Tuttavia stiamo osservando una diminuzione preoccupante del numero di pazienti che richiede soccorso per infarto acuto del miocardio, non per una riduzione effettiva degli stessi, quanto per la paura del contagio”, ha aggiunto l’esperto.

I dati dello studio
Lo studio, nello specifico, ha raccolto i dati relativi agli interventi di angioplastica coronarica eseguiti nelle quattro settimane successive al 27 febbraio, data in cui è stato individuato il primo caso confermato di infezione da Sars-Cov-2 nella regione Campania. Quindi è stato eseguito un confronto con i dati relativi agli stessi interventi eseguiti nelle quattro settimane antecedenti e, inoltre, con quelli effettuati durante lo stesso periodo del 2019.

“Nei 20 centri di Cardiologia interventistica campani che hanno partecipato al lavoro, sono state eseguite circa 1.800 angioplastiche dal 30 gennaio al 26 marzo. Dall’inizio della pandemia abbiamo osservato una riduzione delle procedure di più del 30% rispetto al periodo antecedente e allo stesso arco temporale dello scorso anno”, ha sottolineato Raffaele Piccolo, dirigente medico e ricercatore in Cardiologia dell’Università Federico II.

“Tale riduzione è stata uniforme attraverso la nostra regione ed è arrivata fino al 50% nelle prime due settimane di lockdown”. I dati dello studio dell’ateneo campano, tra l’altro, seguono quelli della recente ricerca della Società Italiana di Cardiologia (SIC) che ha riguardato 54 ospedali italiani e secondo cui la mortalità per infarto in Italia, nel periodo dell’emergenza coronavirus, è triplicata rispetto ad un anno fa. “In era Covid, la chiamata al 118 avrebbe anche l’ulteriore vantaggio di evitare, in caso di infarto, un possibile contatto con altri pazienti potenzialmente infetti nel pronto soccorso”, ha poi concluso Esposito.

1 Commento

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  • Beh… Io proprio non capisco… Ma in effetti in questi tre mesi perché i cardiologi non hanno monitorato i loro pazienti più gravi?
    Se la popolazione intera è rimasta terrorizzata da un evento straordinario.. I medici dovrebbero in teoria essere delle guide certe per i malati bisognosi… Perché non funziona così… Io proprio non capisco…

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