Il partito sovranista per eccellenza, quello che voleva il referendum per uscire dall’euro e poi recedere dall’Unione, che voleva battere la lira per “più ricchezza al popolo” (la parafrasi del “cchiù pilu pe’ tutti” di Antonio Albanese), che aspirava a riprendersi gli spazi di manovra occupati dalla dirigenza tedesca e dai suoi seguaci nell’Eurotorre di Francoforte, ebbene quello stesso partito si converte all’europeismo. In un battibaleno e grazie a due considerazioni apparentemente contraddittorie: la coalizione è guidata da chi fu il personaggio chiave di Francoforte, l’interesse nazionale coincide con l’interesse europeo.
L’Unione si comporta come noi vorremmo, la Germania passa dal rispetto dell’austerità per tutti all’emissione del debito buono. Il messaggio augurale di Angela Merkel a Mario Draghi riecheggia nel confidenziale “tu”, che non usa nei comunicati ufficiali, quello che la stessa adoperò al passaggio delle consegne alla BCE.
Allora Draghi fu salutato dalla successora, la francese Lagarde, dalla Presidente della Commissione, la tedesca von der Leyen, dal Presidente della Repubblica francese e dal Presidente della Repubblica italiana. La foto di gruppo del 2019 preconizzava l’assetto futuro dell’Italia che, nel 2021, avrebbe ritrovato i temi classici di europeismo, atlantismo, ambientalismo. Back to the Future, per dirla con Robert Zemeckys.
Alla conversione, nell’Innominato frutto di lunga macerazione interiore, nel Duemila Woody Allen l’affiderebbe alla guida d’uno psicanalista ebreo – progressista – newyorchese, mentre nel Seicento del romanzo aveva a riferimento il Cardinale di Milano, deve accompagnarsi il perdono da parte di chi ha sempre seguito la retta via.
Il perdono è accordato al convertito a condizione che le azioni di governo seguano alle buone dichiarate intenzioni. I fatti sono macigni da trascinare in salita. L’Unione affida all’Italia la responsabilità del successo di Next Generation EU. Se sappiamo spendere i fondi, l’indebitamento europeo è destinato a durare nel tempo. L’Unione si spingerebbe così sul terreno del non detto: la via federale dell’integrazione fiscale e del Tesoro comune.
E’ il non detto che tale deve restare, altrimenti accade come nei decenni scorsi quando le espressioni “federalismo” e “costituzione” furono adoperate nelle bozze dei trattati europei e suscitarono le reazioni piccate degli elettorati sovranisti. Il sovranismo di altri stati membri precede il nostrano, anche se allora si qualificava di patriottismo per la tutela di certi interessi nazionali, come l’agricoltura in Francia.
Conversione e perdono sono il déjà vu che rassicura l’opinione pubblica frastornata dalle promesse non mantenute del populismo nazionalista in salsa tricolore. Ora siamo in trepida attesa del miracolo e ci affidiamo alla metafora del papa straniero. Non possiamo che augurarci che sia il “MIRACOLO!” di Massimo Troisi e Lello Arena. In Ricomincio da tre si rideva, nella nostra vita si tratta di riprendere a ridere dopo un anno lugubre.
di Cosimo Risi
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