Il circo Barnum e il processo del secolo (di Giuseppe Fauceglia)

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Ho preferito attendere qualche giorno prima di esporre qualche riflessione sulla sentenza della Corte di Cassazione che ha messo la parola “fine” alla narrazione della cosiddetta trattativa Stato-mafia.

La Cassazione ha assolto tutti gli imputati per non aver commesso il fatto, esprimendo un giudizio ancora più perentorio e netto rispetto a quanto già ritenuto dalla Corte di Appello di Palermo, secondo la quale la trattativa avvenne ma il fatto non costituiva reato (per evidente difetto di una norma penale che prevedesse lo stesso come reato), così sovvertendo la sentenza di primo grado del Tribunale.

Non si tratta solo di distinzioni giuridiche, posto che la Cassazione, in attesa delle motivazioni, ha riconosciuto che nessuna trattativa vi era stata tra gli ufficiali del ROS e alcuni personaggi mafiosi.

In sostanza, la trattativa è stata una enorme bufala narrativa, un happening durato dieci anni, snodato nei fuochi di artificio di libri, film, gadget, festival, adunate e dibattiti televisivi condotti dai soliti volti noti dell’“ingiustizia militante” (Santoro, Ranucci, Saviano), talk show amplificati sulle pagine del Fatto quotidiano e di Repubblica, in quella santa alleanza costruita negli anni sulla cultura del sospetto.

Questa vicenda dimostra, se mai ve ne fosse bisogno, l’intreccio pericoloso tra sistema giudiziario e sistema mediatico, che ha costruito le carriere di quei magistrati che hanno utilizzato la trattativa come trampolino di lancio: alcuni, come Nino Di Matteo, eletti nel Consiglio Superiore della Magistratura, altri, come Roberto Scarpinato, approdati addirittura in Parlamento.

La risonanza mediatica ha consentito ad alcuni di emergere, mentre in secondo piano sono stati collocati i tanti magistrati che svolgono con dedizione e in silenzio la propria missione, contribuendo – come l’attuale Procuratore Capo di Palermo, Maurizio De Lucia – a raggiungere risultati importanti (vedi la cattura di Matteo Messina Denaro) nella lotta al sistema mafioso.

In realtà, senza disconoscere il contributo pure ascrivibile in qualche modo ai “magistrati mediatici”, questi ultimi anche dopo la sentenza della Cassazione hanno fatto proprio l’assunto che ciò che conta in un’inchiesta non è la sentenza, ma ciò che l’inchiesta ha “scoperchiato”, così svalutando il processo celebrato nelle aule dei tribunali, nel contraddittorio vitale tra tesi accusatoria e tesi difensiva.

In questa pericolosa prospettiva resta, però, rilevante solo il simulacro del processo celebrato sui media, laddove sono le suggestioni dell’accusa a prevalere e non le posizioni della difesa, che ancora non conosce neppure tutte le accuse o le prove sbandierate e passate da una “manina” nascosta alla stampa.

La trattativa è allora diventata una specie di spettacolo a sé, in cui la narrazione giornalistica e quella dell’accusa è risultata gradita ad un Paese indifferente e disinteressato a prove solide. E’ così che la mancanza di un solido impianto probatorio è stata sostituita dal circo Barnum della giustizia, una vera e propria anticamera del khomeinismo giustizialista.

Il risultato dell’incredibile vicenda è sotto gli occhi di tutti: un sistema giudiziario delegittimato nonostante l’operato di tantissimi magistrati (e sono la parte prevalente) che con competenza, silenzio e avvedutezza svolgono il proprio lavoro.

Una parte dell’opinione pubblica, però, dopo dieci anni resterà convinta che i carabinieri del ROS sono colpevoli, ciò sulla scorta di un preconcetto, che si è concretizzato in un rilancio infinito di favole che non possono essere smentite da alcun ragionamento o sostegno finanche logico.

In tal modo la giustizia è stata posta al servizio non già del codice penale (che ne deve restare la “guida”), ma di un presunto codice morale (in sé sempre opinabile), e la sentenza che conta non è quella di un Tribunale ma quella del “popolo”, che è addirittura pronunciata appena i mezzi di comunicazione danno notizia dell’inchiesta. Mi chiedo se le pagine di pochi giorni, che hanno dato notizia della sentenza di Cassazione, possano ridare l’onore a quegli ufficiali del ROS, come Mori, Subranni o De Donno, che per dieci anni sono stati lapidati da giornali, televisioni e social sapientemente “orientati”.

Giuseppe Fauceglia  

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