La protesta degli studenti fuori sede e la sostenibilità degli studi universitari

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La protesta degli studenti fuori sede tiene ormai il banco sulle pagine dei giornali, nei talk show televisivi e sui social. Come forma di protesta al ricatto dei costi, ritenuti insostenibili per un posto letto, sono state utilizzate in maniera plateale le tende come alloggi sostitutivi.

Il Governo, allora, ha opportunamente messo in campo interventi, quanto mai opportuni, a tutela degli studenti fuori sede, ma resta indubbio che iniziative dovranno essere approntate anche dagli enti locali competenti e dalle singole Agenzie di diritto allo studio. Scelte appropriate che oggi si impongono perché si tratta di giovani appartenenti ad una generazione in cui la mobilità è diventata un elemento fondante della propria identità culturale e formativa.

Per quanto, ad esempio, riguarda le singole università deve essere segnalato che l’Università di Salerno, che rappresenta un fenomeno unico nel panorama nazionale, ha realizzato in questi anni i due campus di Fisciano e Baronissi, avviando una politica innovativa di diritto allo studio, dotandosi di un complesso residenziale per studenti e docenti, che ha ad oggi realizzato 784 posti letto disponibili, ben presto destinati a diventare 1.000. Si tratta di quattro complessi abitativi suddivisi in mono e bilocali, con tutte le facilities (wi-fi e tv) e spazi di condivisione e socializzazione.  Tutto a fronte di un pagamento mensile di 200 euro per ogni stanza singola o di 160 euro per una stanza doppia.

Si tratta, cioè, di mettere in campo misure complesse, che si distribuiscono tra competenze attribuite a soggetti pubblici diversi, ognuno dei quali conserva un potere di intervento autonomo. Il tentativo, perseguito dalla segretaria del PD, di strumentalizzare la protesta per pervenire ad un ulteriore attacco al Governo non trova alcun fondamento razionale.

Appare, inoltre, assolutamente incostituzionale ogni intervento abrasivo della proprietà privata, come quello pure paventato di “requisire” gli immobili sfitti nelle grandi città o di pervenire ad un “canone di affitto imposto” per legge, mentre più agevole risulta la strada di introdurre agevolazioni tributarie per i proprietari di immobili che destinino le abitazioni alla locazione in favore di studenti fuori sede in presenza di determinati requisiti (come, ad esempio, la riduzione della cedolare secca, pari al 21%).

Si tratta, però, anche di “selezionare” le necessità, non potendo essere parificata la situazione di chi abita nella stessa città o in comuni limitrofi, magari collegati da una adeguata rete di trasporto su gomma e su rotaie, e chi, invece, è costretto davvero a trasferirsi da una città all’altra, magari dal Sud al Nord. Un problema questo che assume contorni specifici, che non risultano essere stati adeguatamente esaminati in questi giorni, con riferimento alle diverse aree del Paese.

Non è stato, ad esempio, considerato (lo rilevano Guido Trombetti e Giuseppe Zollo sulle pagine de “Il Mattino”) che nel Mezzogiorno la crisi degli alloggi universitari, pur in presenza di una domanda ridotta rispetto al centro-nord, offre un’ulteriore spinta alla migrazione di molti ragazzi, i quali, ad esempio, per i corsi di laurea a ciclo differenziato (il triennio generalista e il biennio specialista), decidono di completare gli studi presso le università del Nord, laddove si ritiene che i servizi sociali offerti siano più attrattivi rispetto a quelli del Mezzogiorno.

In tal modo, la crisi degli alloggi è aggravata dalla domanda degli studenti trasferiti. Se però, si esamina la qualità dell’offerta didattica e della ricerca che viene condotta nelle università meridionali, non si spiega la dimensione di questo esodo. A parte la spinta individuale consistente nella ricerca di maggiori spazi di libertà e di autodeterminazione rispetto alla famiglia di origine, è chiaro che il fenomeno finisce per impoverire il nostro territorio di alcune delle sue intelligenze.

Se il problema, allora, resta quello della maggiore attrattività di alcuni territori, la soluzione non può che risiedere nel miglior collegamento tra Università ed enti locali, prevedendo un intervento significativo delle Regioni a sostegno delle politiche di inclusione e di valorizzazione dell’innovazione nella ricerca e nella didattica; nonché in un collegamento più intenso tra strutture produttive (ruolo importante potrebbe essere svolto dalla Confindustria locale) e sistema formativo, al fine di offrire sbocchi occupazionali più attrattivi.

Una sostanziale assenza di intervento che si è costretti a rilevare anche per quanto riguarda la Università di Salerno, dove il sistema dei trasporti, la rapidità ed efficienza di risposta degli enti pubblici, potrebbero aumentare, in quantità e in qualità, l’offerta formativa, non facendo gravare solo sull’Università la responsabilità di tutto il contesto territoriale.

Giuseppe Fauceglia  

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