Racconto di inizio anno (di Cosimo Risi)

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Sei un meridionale dell’immane diaspora, a migliaia rientrate nei luoghi di origine per le feste comandate. Un tempo a bordo dei treni speciali che impiegavano la giornata da nord a sud e dovevi salire in carrozza appena il convoglio si formava per accaparrare il posto per te e la numerosa parentela con le vettovaglie appresso per rifocillarvi durante la traversata.

Ora che la tua città è servita dall’AV viaggi da signore, il posto è prenotato, il cibo è servito nella plastica e di plastica sa, le bevande sono gasate, non è più il vino rosso nel boccione, non leggi il fumetto sconcio ma chatti sul cellulare collegato al WI-FI di bordo che puntualmente ti molla in galleria.

La tua è una città di mare, osservi il rito della spiaggia da maggio a ottobre.  A gennaio proprio no, il vento freddo d’Irpinia s’insinua ovunque, fora le case male coibentate e peggio riscaldate. Tanto a sud fa sempre bello, e poi con il riscaldamento globale l’inverno non è più quello d’una volta. A te non sembra, ma lo dichiara il sito meteo e tu ci credi per contratto.

I costruttori tirano su i palazzi in economia e vendono a caro prezzo, è la logica del profitto. Il complesso lo chiamano, alla moda,  River Center. Il pomposo nome “fiume” viene dal rigagnolo che ci scorre accanto.

Sono blocchi vetro  cemento finto marmo. Sembrano cliniche in via di consunzione. La carta da parati è lacera, il visitatore ignaro pensa di trovarsi davanti al tipico taglio di Lucio Fontana. Una scultura di valore nell’androne d’un palazzo? Meglio non rivelargli che il taglio viene dall’incuria meridionale.

La tua piccola città è percorsa da turbe di Lanzichenecchi. Parlano certi idiomi tedescheggianti,  si fatica a comprenderli. Le turbe penetrano nel centro storico con tutti i mezzi possibili. Percorrono l’intrico dei vicoli con i cani al guinzaglio, i gatti nel passeggino assieme a infanti piagnucolosi, le suocere vedove dalle scarpe dolenti per la camminata forzata.

Si procede a senso unico nei passaggi stretti. E tu che abiti nel palazzo di fronte, la magione di famiglia che non lasci resistendo alle lusinghe del trasloco nell’immobile  luxury    vista mare che sembra un bastimento di Joseph Conrad in balia dei flutti, sei obbligato ad un largo giro finché, dopo avere sgomitato nella folla, ti ritrovi davanti al portone.

Posi i pacchi a terra per aprirlo, l’operazione ti è impedita dal cane lanzichenecco che innaffia il selciato accanto. Il cane ha il ringhio tedescheggiante, il solo sentirlo incute timore, è il dito tedesco che il medico agita sotto al naso di Massimo Troisi in Ricomincio da tre. Gli lasci terminare i bisogni, pulisci alla bell’e meglio,  inserisci la chiave nella toppa.

Con te entra una coppia di smarriti stranieri. Nel loro francese, lo masticavi in Costa Azzurra per agganciare  le turiste, te le avevano descritte  particolarmente benevole e poco interessate al contratto matrimoniale, i due  esclamano “c’est magnifique, cet immeuble aussi ancien”. Ammirano il tuo immobile d’epoca come una magnificenza del posto. Ti cali nel ruolo dell’anfitrione, li introduci nel cortile, nel tuo francese che si scioglie con l’uso sciorini la data di costruzione, la famiglia altolocata che lo abitava e la tua che, aggiungi con finta modestia, lo occupa da generazioni. Tu sei l’ultimo rampollo.

Non li inviti sopra. La domestica ucraina ti ha lasciato, ha saputo delle tue antiche simpatie per la Russia sovietica. Dai tuoi cimeli, il polveroso ritratto di Lenin,  ha scoperto che da giovane pendevi da quella parte. Ora tieni l’appartamento da  scapolo reduce da due divorzi. Ci regna il caos ordinato che prediligi.

Chiedi loro che ci fanno nelle invasioni di massa per le Luci. I turisti rispondono che non c’entrano con le luminarie. Sono sbarcati dalla nave da crociera per gironzolare nella vieille ville alla ricerca du temps perdu. Leggete troppo il Tempo perduto di Marcel Proust e poco gli autori indigeni – ribatti. Consigli i libri da cui è tratto lo sceneggiato televisivo, lo si gira nella piazza dove sei nato e dove tuo nonno mai avrebbe pensato di vedere gli attori recitare battute insulse ma terribilmente à la page.

“Hélas” –  lamentano i due. Con ahimè prendono congedo. Prima hanno un’ultima domanda. Dove possiamo mangiare les plats typiques? Rispondi che la trattoria che conservava il culto dei piatti tipici è chiusa. Il faut attendre la réouverture. Quand? Un certain jour.

Tornate  un certo giorno di un certo anno. Allora riaprirà l’antico presidio  gastronomico dalla malintesa modernità del cibo da strada.  Nel vicoletto all’angolo, al civico 2024, ritroverete le temps perdu de la cuisine.

di Cosimo Risi

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