Il richiamo identitario in occasione della pasqua (di G. Fauceglia)

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Viviamo in un mondo in cui si corre il rischio di celebrare più la fine del Ramadan, che la Santa Pasqua. L’occidente vive ormai da decenni il lento, ma inesorabile, tramonto delle proprie radici, travolto dalla cancel culture, qui intesa come subcultura politica; dalla ideologia gender, che, fatto salvo l’ indiscusso principio della tutela della dignità della persona e delle sue scelte, conduce a delineare un contesto in cui alla minoranza vengono riconosciuti più diritti della maggioranza; la dittatura woke che induce a scusare le proprie “origini” bianche, come tale incapaci di capire le minoranze etniche, sì che qualsiasi cosa si dica o si faccia può essere condannata come micro-offesa rivolta contro afros o latinos (invito a leggere l’articolo di Federico Rampini sul “Corriere della Sera” del 2 marzo). Il tutto poi condito da quella immensa ipocrisia che si sostanzia nel politically correct, diventato conformismo linguistico e imposizione ideologica che limita la stessa libertà di espressione.

I segni del declino sono sotto gli occhi di tutti, e la violenza che si scatena, a volte senza alcun motivo, nelle strade e tra i cittadini sono il frutto della scomparsa di quei principi che per secoli hanno sorretto e costruito la nostra civiltà.  Mi chiedo, allora, dove sono finite quelle parti importanti della cultura europea che dovrebbero nutrire e radicare sul terreno il “nostro comune sentire”. In un recente volume di Sante Lesti, “Il mito delle radici cristiane dell’Europa.

Dalla rivoluzione francese ai giorni nostri”, pubblicato da Einaudi, l’Autore ritiene che le radici cristiane, affermate sin dal Settecento come “idea” della civiltà europea, sono state ormai messe seriamente in discussione, tanto da farle diventare addirittura anacronistiche. Eppure queste radici sono appartenute non solo alla cultura cattolica e cristiana (René de Chateaubriand o Vincenzo Gioberti), ma hanno influenzato anche il pensiero liberale (Claudè Henri de Saint-Simon o Augustin Thierry).

Arrivando ai nostri giorni, il Sinodo del 13 dicembre 1991, voluto da papa Wojtyla dopo la caduta del muro di Berlino, ha affermato nella Dichiarazione finale che “la religione cristiana ha dato all’Europa, imprimendo nella sua coscienza collettiva alcuni valori fondamentali per l’umanità”, contribuendo a definire “il concetto nuovo e centrale della persona umana come principio di convivenza solidale nella stessa diversità di uomini e di popoli”.

Una posizione che ha assunto rilevanza anche politica, considerando che nel 2003, il Partito Popolare Europeo, che sin dalla sua costituzione ha valorizzato la centralità dei valori giudaico-cristiani, ha presentato al Parlamento europeo un emendamento della Costituzione continentale in cui si chiede un chiaro riferimento a questi valori.

Il tema non è rimasto estraneo anche alle riflessioni di un grande papa teologo, come Benedetto XVI, ma che sono state in qualche modo “accantonate” da papa Giovanni Paolo II, nel tentativo evidente di non offrire alle destre europee l’uso identitario delle radici cristiane.

Non a caso, nel suo discorso in occasione dell’attribuzione del premio internazionale “Carlo Magno”, papa Francesco detta una cesura evidente dell’identità europea, definita come “dinamica e multiculturale”, finalizzata “ad integrare la sintesi di nuove culture le più diverse e senza apparente legame tra loro”.

Le radici culturali giudaico-cristiane vengono così espunte dal pensiero papale, con conseguenti dirompenti sull’europeismo sposato dalla Chiesa non solo nel precedente papato (ciò si evince dal libro di Sante Lesti e dalla recensione di Paolo Mieli apparsa su “Il Corriere della Sera” del 4 marzo).

A fronte di questa inesorabile “abrasione” del mito della cristianità, non possiamo, come europei, restare indifferenti, sì che, dinanzi alle sfide proposte, a volte con un certo grado di “violenza” anche verbale, da altre religioni estranee al nostro comune sentire, conserviamo l’obbligo di riaffermare con forza le nostre radici. Per questo auguro, con orgoglio di appartenenza, a voi tutti una Santa Pasqua.

Giuseppe Fauceglia  

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